Le facoltà di Lettere o di Beni Culturali, laddove “attente” ai mutamenti in atto nel mondo della cultura, stanno istituendo dei corsi di laurea dai nomi nuovi e suggestivi. È il caso dei percorsi di studi in Digital Humanities. Questa dicitura si traduce con “Informatica umanistica”. Istintivamente, però, si affaccia alla mente anche la definizione di “Scienze umane digitali”, oppure di “Umanità digitali”… In quest’ultimo caso la “resa linguistica” sembra quasi strizzare l’occhio ad una dimensione fantascientifica. Ad una “mutazione antropologica”. In realtà, non siamo noi ad essere diventati delle “soggettività digitali”. Il punto, però, è che di “atti digitali” i nostri vissuti sono colmi. Non possiamo “nasconderci dietro a un dito”: non siamo gli stessi di vent’anni fa. Senza le “possibilità digitali” che ci circondano, ci sentiremmo quasi perduti. Allo stesso modo di quando manca la luce elettrica in casa, oppure dai rubinetti non scende più acqua calda, o non scende proprio più acqua. Perché quel “panico” dovrebbe essere “legittimo”, mentre il sentirsi “persi” senza wi-fi deve essere giudicato patologico? E dunque anche lo studio delle lettere (ciò che Leopardi definiva “gli studi leggiadri e le sudate carte”) può essere più profondo e prolifico, se non commettiamo l’errore di “schermare la nostra mente” di fronte al “nuovo”.
Umanesimo digitale. Cioè un amore per i prodotti della cultura umana che non ritiene estraneo a sé nessuno dei “mezzi” che possano condurlo ad approfondire tale immenso patrimonio storico. Sono bellissime ed efficaci, a nostro avviso, le definizioni che sono emerse dal dibattito linguistico: umanesimo digitale, e di conseguenza umanisti digitali. Un occhio all’antico e uno al nuovo. “Umanisti” infatti, per noi che ascoltiamo, sono Lorenzo de’ Medici, Leon Battista Alberti, Angelo Poliziano… E l’“Umanesimo” è quello che ha portato ad opere immortali quali il David di Michelangelo, o ad intuizioni scientifiche come quelle di Leonardo da Vinci. Eppure la parola scelta, in un mondo di infinite new words, è stata “Umanisti”. Evidentemente è un vento fresco di novità e di “inizio” quello che spira sul volto degli studiosi. Ma cos’è un umanista digitale? Beh, è lo studioso di Lettere (antiche o moderne), di Filosofia, di Storia dell’arte, o semplicemente di Storia, che utilizza tutti gli strumenti conoscitivi che gli sono offerti dalla contemporaneità per comprendere e far comprendere l’oggetto dei propri studi.
L’Umanesimo Digitale: “studiare” e “insegnare”
L’Umanesimo digitale è, dunque, “rivoluzione” di metodo e di didattica. Un intero “vocabolario” nuovo sta nascendo, che deve entrare a far parte dell’“armamentario” (o dell’“armatura”, diremmo) degli studiosi e dei docenti di materie letterarie (meglio, di Scienze umane nella loro pluralità). Data mining, 3D renderings, sono solo alcune delle “realtà” digitali indispensabili, oggi, al ricercatore o al professore di Italiano, di Filosofia, di Storia. “Lasciar nell’angolo” queste “strumentazioni” corrisponderebbe alla decisione, da parte di un umanista del Quattrocento, di non leggere le traduzioni dei testi della grecità, che cominciavano ad essere finalmente fruibili in Europa. Un “no” assurdo gridato in faccia alla complessità e alla “novità” culturale. Ma questo nel Quattrocento non succedeva: era grande la “fame” di ogni espressione che fosse “umana”. E allo stesso modo i software, le applicazioni, le strategie “digitali” devono essere “care” allo storico o al letterato. Esse devono diventare degli amici inseparabili.
Cosa possiamo fare di preciso?
Abbiamo già accennato ad alcune applicazioni. Il data mining, ad esempio, consiste nell’estrazione di informazioni utili da grosse quantità di dati, con metodi automatici. Ma è fondamentale, davanti all’universo illimitato del “testo umanistico” (ogni documento che esprima la vita e la cultura umane), saper “mettere le mani” sul testo stesso, sapendolo scansionare e visualizzare ottenendo gli effetti desiderati che servono per interpretarlo. E quando parliamo di “testo”, nelle scienze umane, ci riferiamo ai versi di una poesia, a una cartina geo-storica, all’opera figurativa di un pittore, ecc. Dicevamo, prima, anche del 3D renderings: esso è un processo che permette di ottenere, a partire da un modello tridimensionale elaborato dal computer, un’immagine realistica artificiale di altissima qualità, quasi “viva” in alcune circostanze. Un esempio sono le straordinarie ricostruzioni di ambienti romani o greci o i volti di uomini vissuti in epoche antichissime, che spesso ammiriamo durante i programmi di Alberto Angela.