Non accadeva da 86 anni, dal decreto del pater patriae Ataturk che convertiva allora – sino al luglio 2020 – in museo interreligioso ed interculturale Santa Sofia: dentro e fuori dall’edificio una folla di musulmani ha atteso l’inizio della tradizionale preghiera del venerdì.
All’interno, in 1,500 hanno preso parte ai riti cantando i versi della sacre scritture coraniche. Intanto, in osservanza del culto, sui mosaici inneggianti ai personaggi della sacra famiglia cristiana erano apposti dei tendaggi. Fuori, invece erano presenti in decine di migliaia.
La partecipazione di Edogan
Con la folla che partecipava all’interno del luogo di culto, un altrettanto numerosa partecipaziozione ha fatto seguito all’esterno: nei piazzali antistanti i fedeli avevano infatti disposto i tappetini sui quali inginoccharsi per le fasi di preghiera.
Al cospetto dei quattro muezin cantanti, ciascuno dai quattro differenti minareti, si è unito con le mani congiunte anche il presidente turco Recep Tayyp Erdogan, che ha fortemente sostenuto perché il tribunale di competenza si pronunciasse a favore dell’ultima riconversione.
Il messaggio di dolore greco
Intanto, praticamente in contemporanea alle celebrazioni del santo venerdì musulmano, nel giorno del quarantaseiesimo anniversario della democrazia greca, quando le campane delle chiese ortodosse greche suonavano con il ritmo che si confà alle occasioni luttuose, il premier ellenico Kyriakos Mitsotakis ha affermato rivolgendosi agli ambienti cristiano-ortodossi come la conversione di Santa Sofia in moschea rappresenti un affronto alla società del Ventunesimo secolo.
L’affondo non è casuale, arrivando in un periodo di esplorazioni energetiche da parte della Turchia su porzioni di piattaforme continentali marine sulle quali la Grecia rivendica la titolarità.
Foto di Abdullah Oguk; fonte foto unsplash.com
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