social

I social come veicolo di espressione artistica contemporanea. Per secoli, per andare a vedere l’arte “giovane”, quella delle avanguardie, quella di coloro che si distaccavano dalle Accademie e prendevano una via “diversa”, c’è stato bisogno di recarsi alle mostre, in sale che accoglievano gli artisti oppure all’aperto. E poteva accadere di tutto ai “rivoluzionari” delle discipline artistiche. Qualcuno, nel pubblico, rimaneva a bocca aperta, altri magari criticavano, altri insultavano, a causa delle “regole” espressive “frantumate”. Anche per godere delle pièces o della danza il teatro era l’unica soglia possibile da oltrepassare. Oggi ci sono possibilità di rendere universali alcune espressioni del corpo umano, alcuni giochi di colore, alcune competenze artistiche, alcune “storie”, attraverso lo schermo di un cellulare. E ciò che più è importante (e più, pregiudizialmente, criticato), è che questa è un’esperienza in cui possono “tuffarsi” tutti.

Basta girare per le vie di una città, accanto ai negozi, lungo le strade dei boschi comunali, attraverso i lungomare dei centri portuali. In mezzo alla folla dei turisti delle città d’arte. Ma anche la sera, quando cala il sole, e le vie appaiono più spaziose, più silenziose, più attente: sembrano un teatro prima dell’aprirsi del sipario scarlatto. Si incroceranno, dunque, tantissimi ragazzi e ragazze intenti a “dipingersi” – muovendo il corpo e il volto – davanti ad un rettangolino metallico, stretto in una sola mano: il telefonino. Abbiamo già parlato, su questo portale, del “senso” dell’“atto contemporaneo” del selfie. Qui ci interessa una cosa completamente diversa. Ci interessa il fatto che, davanti allo schermo ristretto (quasi un buco di serratura), i ragazzi si cimentano in vere prestazioni artistiche, dando sfogo alle proprie competenze creative e sviluppandole. 

Instagram e TikTok

Le piattaforme che più delle altre si prestano, attualmente, ad “accogliere” il prisma creativo di tanti giovani (e meno giovani) sono Instagram e TikTok. Il primo è il “luogo delle immagini ferme”, la casa delle foto. Il secondo è lo “spazio dei corpi in movimento”, cioè la casa dei micro-video. Su Instagram, chiaramente, ciò che è istintivamente cercato è il “divertimento”, oppure la semplice “condivisione” di un momento felice, tramite la luce di un sorriso. Vengono immortalati i luoghi dove si passa, dove si mangia, lo stesso cibo che, sulla tavola di un ristorante, attende solo di essere preso a morsi. Ma si ride anche con “smorfie”, “posizioni strambe”, o qualcosa che porti ilarità ed allegria nella community. Ed è proprio quest’ultima possibilità, cioè quella di forzare il proprio volto, o rendere bizzarro il proprio corpo in una posa, che ci conduce verso la tradizione della grande arte contemporanea.

Social e storia dell’arte

Dietro l’uso certamente “leggero” che si fa di Instagram e di TikTok, c’è una inconscia ricerca (neanche tanto difficile da far venire in superficie) di possibilità espressive. Ricordiamo che uno dei più grandi e straordinari pittori del Novecento, l’austriaco Egon Schiele, morto a soli ventotto anni, trascorse e consumò la sua vita (quasi totalmente) in un unico “studio”: il proprio autoritratto. Abbiamo “autoritratti con smorfie”, quadri in cui Schiele si ritrae in posizioni innaturali o assurde, nudi in cui il corpo, per gli spasmi, pare un intreccio nodoso di corde. E anche nelle foto Egon si faceva immortalare in posizioni storte, quasi sgradevoli, proprie – diciamo così – dei “folli”. Perché non trovare un po’ di questa “artistica ossessione” nelle piattaforme social? Instagram ha “bisogno” di una posa. Ha bisogno di “immobilità pensata”. Il corpo è “plasmato”: cosa mostro di me? Chi c’è in me? La domanda che bruciava in Egon Shiele. 

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