La liberazione di una ragazza, di una volontaria partita alla volta dell’Africa con un intento umanitario, dopo un anno e mezzo di prigionia tra il Kenya e la Somalia non può e non deve assumere un significato politico, perché il pettegolezzo circoscrive i tratti di una verità tragica che non possiamo comprendere.
Il percorso compiuto da Silvia Romano dall’aereo fermo sulla pista al terminal dell’aeroporto di Ciampino si è tramutato nel pasto perfetto per gli sciacalli che affollano i monitor o le pagine di carta con offese gratuite, anche indirettamente percepibili come tali.
I dettagli
Se l’attenzione dei maggiori quotidiani italiani in circa ventiquattro si sia concentrata sugli abiti indossati dalla giovane e sui suoi nuovi costumi culturali o religiosi, bene questa è la sintomatologia di un provincialismo latente, che non lascia la presa sulle menti e sulle coscienze di questo nostro Paese.
Quanta superficialità in questa cronaca che si limita alle apparenze: la giovane portava una mascherina sul viso – riferimento importante per definire il periodo temporale nel quale si susseguono gli eventi – ed indossava una tunica islamica, abbigliamento tipico delle donne somale – annotazione utile per considerazioni ataviche, anteriori a quell’8 marzo 2020 quando il tricolore veniva issato, con scarsa consapevolezza, in occasione di manifestazioni sportive calcistiche che si rinnovano ogni due e quattro anni –.
I titoli dei giornali
In ordine sparso, perché da destra a sinistra i giornaloni imprescindibilmente s’interrogano sui dettagli, i titoli si rincorrono in considerazioni grottesche nella forma e nella sostanza.
“Ora mi chiamo Aisha. La scelta di Silvia Romano, cosa significa quel nome: la bimba promessa sposa fulcro dell’Islam”, titola Libero Quotidiano, diretto da Vittorio Feltri. “Sposa di Maometto: cosa c’è dietro il nome”, l’accento posto da Il Giornale di Alessandro Sallusti. La Repubblica interrogandosi sul nome utilizza il condizionale. “La ragazza agli inquirenti: dicevano se non scappi non ti uccidiamo. Sentivo che il sequestro era per estorsione. Non sono incinta, convertirmi e stata una scelta. – Ed in conclusione del sommario – E avrebbe cambiato nome”. Infine, per terminare una carrellata molto più ampia, sull’edizione digitale del Corriere della Sera troviamo: “La moglie di Maometto – Aisha, cosa significa e da dove viene il nome di Silvia Romano con la conversione”.
Il ruolo del giornalismo
Letteralmente, perché speculare sul percorso di stenti, angoscia e sopraffazione al quale è stata costretta la giovane. È anche vero che quel qualcosa che rende un fatto notiziabile è insito in un ventaglio di pulsioni tutte umane che attingono da una sfera grigia ed interiore, ma deontologicamente quando si parla di rilancio della professione giornalistica, lotta alle fake news, intelligenza artificiale che entra nelle redazioni, big data sui quali lavorare ed importanti tematiche da approfondire, quanto giova perseverare in considerazioni che prima ancora dell’8 marzo si perdevano nel chiacchiericcio tra un croissant ed un caffè al bar e non avrebbero ragione di esistere su quei giornaloni che hanno la boria di assumersi la responsabilità di raccontare dalla propria angolazione lucidamente il tempo presente?
L’importante è che stia bene
Per fortuna, viviamo nello Stato più garantista al Mondo nel quale il legislatore già nel 1947 si pronunciava con senso di responsabilità e grande lungimiranza, contravvenendo a qualsiasi deriva dei tempi: “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge” dall’articolo 8 della nostra Costituzione. Pertanto, viva questo Stato il cui funzionamento, al di là delle chiacchiere, non dimentica i propri cittadini e risponde ad un documento imprescindibile da oltre settant’anni.
Adesso, Silvia o Aisha importa soltanto che stia bene, circondata dall’amore della famiglia.