Coworking, crowdfunding, fundraising, carsharing, carpooling… cosa sta accadendo in Italia? Qual è il motore che sta spingendo giorno dopo giorno questi termini a entrare nel nostro lessico quotidiano?
Che i vecchi modelli organizzativi piramidali stiano deponendo le armi in un’economia del 2.0 ne siamo consapevoli. Che il digitale stia entrando in tutte le nostre attività tradizionali è sotto gli occhi di tutti.
In Italia, così come nel resto del mondo, stanno nascendo un po’ come funghi centinaia di migliaia di applicazioni concentrate su di una specifica azione: “LA CONDIVISIONE”. Un’azione nata con l’avvento dei social network e che pian piano si è tradotta in un comportamento quotidiano, una ricerca costante, un desiderio impellente, quasi viscerale. La necessità di mostrare, consigliare, far vedere, rendere pubblico, insomma: condividere.
In un passato non troppo lontano condividevamo emozioni, ricordi, attività. Gli stessi classici social network per anni sono stati teatro di pubblicazioni di foto ricordo, viaggi amorosi, matrimoni, nascite, eventi con amici lontani.
Oggi lo scenario sta prendendo una forma diversa. L’atto di condividere si sta velocemente trasformando in un modello di business, una vera e propria risposta comunitaria ad un cambio paradigmatico.
Possiamo dirlo: è cominciata l’era della “sharing economy”.
Portali come AirBnb, WimDu, CouchSurfing e Lyft sono solo alcuni di una lunga lista di siti che consentono di utilizzare nuovi schemi per trovare ospitalità e mezzi di trasporto a basso costo.
Una visione superficiale su ciò che sta accadendo potrebbe portare a pensare che così tanti “case study” di successo siano semplicemente risultato di una tendenza o di servizi che “piacciono perché economicamente vantaggiosi”, ma probabilmente esiste una motivazione più profonda che definisce il cambiamento.
Il sociologo Jeremy Rifkin, anni fa, preannunciò che l’economia dei consumi stesse transitando “dal possesso all’accesso” e pare che la sua visione si stia concretizzando nelle risposte dei mercati di oggi.
Da analizzare è la dichiarazione della Apple: “Le vendite di musica digitale sulla sua piattaforma iTunes sono scese del 14% dall’inizio del 2014”, mentre Spotify, il servizio di streaming musicale più popolare, nel 2013 ha aumentato del 43% i propri incassi e ha chiuso il proprio bilancio in attivo per la prima volta da quando è stata fondata. Molti analisti del settore musicale stimano che entro la fine del 2014 saranno 37 milioni le persone nel mondo che pagheranno una sottoscrizione ad un servizio di streaming musicale.
C’è un cambio culturale in atto, che molti giornali e studiosi americani attribuiscono alla generazione dei millennials e all’aumento del lavoro come freelance.
Nel mondo la direzione è chiara, ma in Italia? Come rispondiamo a questa nuova prospettiva sociale ed economica?
Ad oggi solo il 23% delle piattaforme collaborative italiane ha ricevuto un finanziamento dai venture capital e, sebbene pare che si stia muovendo qualcosa, risulta ancora di bassa rendita la risposta italiana rispetto tali servizi.
Basterà incrociare le dita per un’accelerazione tutta Made in Italy e per una risposta alle nuove necessità?
Di cosa abbiamo bisogno per dare un’accelerazione tutta Made in Italy in risposta ai nuovi paradigmi della condivisione? Non crediamo basti incrociare le dita.
Corrado Sorge
Info Box
Airbnb: https://www.airbnb.it/
Wimdu: http://www.wimdu.it/
Couchsurfing: https://www.couchsurfing.com/
lyft: https://www.lyft.com/