Il 12 marzo 2014, durante la prima conferenza stampa a Palazzo Chigi, Matteo Renzi chiede “cento giorni per cambiare il paese: politica, occupazione, pubblica amministrazione…”, insomma tutto. Il suo arrivo, così scandito temporalmente, a capo del Governo sembra una vera e propria pigiata sull’acceleratore delle riforme. D’altronde è proprio per la necessità di “fare presto” che ha strappato la poltrona al suo alleato di partito Enrico Letta e che, con la stessa identica maggioranza, si è impossessato del potere, promettendo però di azionare quel turbo che il suo predecessore non era stato capace di usare. Il primo settembre, ben 182 giorni dopo, le riforme promesse nella “Svolta buona” non sono ancora state attuate e così Renzi sposta il termine entro cui giudicare il suo operato: «Nel momento in cui ci accusano di ‘annuncite’, noi rispondiamo con una data alla quale siamo autocostretti: ci sono mille giorni da qui a fine maggio 2017. In questi mille giorni le proposte che abbiamo fatto troveranno concretizzazione o meno»L’idea del Premier è, infatti, che spetti al Governo stabilire quando i cittadini, quelli che lo hanno o almeno avrebbero dovuto eleggerlo, possono giudicare il lavoro svolto e quindi decidere se lasciarlo in carica o rimandarlo al casa. In realtà gli elettori dovrebbero monitorare il lavoro passo dopo passo e mano mano stabilire se quell’esecutivo è ancora degno della loro fiducia. Un controllo serrato che tuttavia Renzi, almeno apparentemente, vuole e incoraggia, ad esempio con la creazione del sito internet “Passo dopo passo – Mille giorni per cambiare l’Italia”, chiedendo però di sospendere il giudizio. A che serve, allora, fornire gli strumenti per giudicare e non la possibilità di farlo? Di sicuro il countdown è iniziato da un po’, ma le riforme ancora non sono attuate!

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