I gender studies, cioè gli studi sui vissuti e sulle identità di genere (i quali non costituiscono una teoria, bensì uno sforzo scientifico indirizzato ad una maggiore conoscenza dell’essere umano) stanno procedendo, per fortuna, sempre di più, senza pregiudizi né ideologie, per l’affermazione e la tutela dei diritti civili. E quanto più un frammento di scienza si fa definito, da che era confuso, tanto più vengono alla luce nuovi termini da collegare a “cose”, “vissuti”, “atti”, che precedentemente la nostra “esperienza mentale” non considerava. Oggi parliamo di alcune espressioni che sono ancora “fresche di sorgente” filologica, e magari non sono conosciute da tutti, nonostante la loro crescente importanza.
Alcune persone attraversano, non senza difficoltà e ostacoli di tipo sociale, dei percorsi di “transizione” da un genere sessuale ad un altro. E’ il fenomeno transgender. La comunità transgender corrisponde, nel mondo LGBTQIA+, alla lettera T. La sigla della comunità detta “arcobaleno” sta, nella sua interezza, per Lesbian Gay Bisexual Transgender Queer Intersex Asexual, e quel + sta a significare l’impossibilità, in ogni caso, di racchiudere dentro “cassetti” od “etichette” le esperienze che riguardano l’identità e la vita sessuale. Quando una persona non si riconosce nel proprio sesso biologico (l’anatomia con la quale è venuta alla luce), si parla di disforia di genere (che ovviamente è una condizione psicologica di grande disagio e sofferenza, ma non è una “patologia”). In questi casi, a volte viene intrapreso, come detto, un percorso di transizione, che può essere specificato come MtF (from Male to Female) oppure come FtM (from Female to Male). In ogni caso, è fondamentale, per la persona che sta compiendo o che ha già compiuto la transizione, il sostegno e il riconoscimento sociale.
Diritti civili: il misgendering
Il misgendering (quando voluto, cercato, provocatorio) è una vera e propria violenza perpetrata ai danni della persona che sta compiendo o ha compiuto la transizione MtF oppure FtM. Cos’è, dunque, l’atto del misgendering? E’ l’atto di rivolgersi alla persona transgender utilizzando, nel parlarle, il pronome riferito al suo sesso biologico (quello rifiutato, per intenderci, con tale forza e convinzione da sottoporsi a cure ormonali e percorsi chirurgici). Ci sono stati episodi in cui il mancato riconoscimento sociale ha portato alla disperazione ed al suicidio. Ricordiamo solo il recente gesto estremo di una donna trans ex docente di una scuola veneta, poi spostata per lo “scandalo” a ruoli di segreteria. Spesso si sentiva ancora chiamare “il professore”. Ecco, questo è mis gendering. Io mi sento “femmina” dalla più tenera età, ed ora mi mostro per quello che sono: ma tu continui a chiamarmi al maschile. Il professore, il libraio, il commesso.
Dead Naming e schwa
Sempre in tema di diritti civili, il dead naming consiste nel chiamare la persona transgender, o non ancora trans ma di identità non conforme al proprio genere biologico, col nome che le è stato dato alla nascita. Tale nome, rifiutato dalla persona trans, è detto “dead name” (nome non più in uso, nome “morto”). Quando tale nome “di prima” (di prima di rinascere ad una vita “autentica”) viene insistentemente usato per chiamare la persona con disforia di genere, il dolore provocato è insopportabile. Infine chiariamo cosa è lo schwa. Questo termine si riferisce alla lingua scritta. Alcune persone non si riconoscono in nessuno dei due generi “binari” (o sei maschio o sei femmina), ma esperiscono una identità fluida. Ora, per riconoscerle anche nella lingua scritta, si fa uso o dell’asterisco (ci sono tutt*) o di una “vocale centrale media”, che si scrive come una “e” rovesciata: “ǝ”. Si scriverà: “ci sono tuttǝ”. Questo segno è lo schwa.