L’addio a Lou Reed ed il testamento musicale di The Velvet Underground & Nico The Velvet Underground & Nico esce il 12 marzo 1967 ed è un totale insuccesso commerciale. L’album vende appena una trentina di migliaia di copie: Lou Reed, scomparso lo scorso 27 ottobre 2013 all’età di 71 anni, decise allora, d’accordo con John Cale col quale diede vita all’iconica formazione sotto l’alto patronato di Andy Warhol e registrò l’album nel Lower East Side, di produrre il disco con la jazz label Verve Records di Norman Granz poiché, sin dai tempi delle ospitate notturne in radio sulla WAER di Syracuse (è il 1961, Reed studia giornalismo, regia cinematografica e scrittura creativa all’università di Syracuse) nel programma che prende il nome da Excursions On A Wobbly Rail di Cecyl Taylor, Reed trova nel jazz la seminale fonte di tecniche compositive ed esecutive di quello che sarà poi il suo peculiare linguaggio, oscuramente rock e diversamente inquieto rispetto a quello di quei pionieri del free jazz, come ad esempio Ornette Coleman, dai quali, per sua stessa ammissione, il rock and roll animal tributa alcune delle sue fondamentali tecniche chitarristiche: come la drum-roll, con le corde percosse più che toccate, ed il suo suono monotono e metallico, compendio della sua voce impassibile, che conferirà per sempre alla sua musica quella cifra di cupa, ossessiva ritualità a sposare perfettamente i racconti claustrofobici e lascivi della città per eccellenza, New York naturalmente, e la santità e perversità ad un tempo delle esperienze estreme, irresistibili e terrorizzanti del sesso, la paranoia della droga e la continua prossimità col fallimento e con la morte, l’imprescindibile tensione autodistruttiva.

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Tuttavia, la Verve di Granz non era preparata a stare dietro al potenziale “scandaloso”, ed a tutti i rifiuti di catene di negozi di dischi, di radio, persino di professionisti della pubblicità, che sono nella storia dell’album con Nico, la modella e chanteuse di origini tedesche che Warhol “impose” alla formazione generando così il primo dissidio tra lo stesso Reed e quello che egli riconobbe sempre pubblicamente come il suo mentore; così alla fine non si trovò la chiave per spingere l’album e farlo digerire alla sensibilità americana del tempo, che sembrava ignorare in via ufficiale la rivoluzione dell’arte e del costume, capace di spostare per sempre in avanti la soglia della contemporaneità, che attraversava in quegli anni le strade della Grande Mela. Il disco raggiunge il suo migliore posizionamento nella classifica degli album di Billboard nel novembre ’67, al posto numero 171. A proposito del riscontro ottenuto da The Velvet Underground & Nico, Brian Eno ha detto: “ciascuno di quei trentamila che acquistò l’album poi diede vita ad una band”, a sottolineare il seminale effetto sulla storia del rock. L’album è oggi il numero 13 nella classifica dei 500 Greatest Albums of All Time e la Libreria del Congresso degli Stati Uniti l’ha inserito, a partire dal 2006, nel National Recording Registry. The Velvet Underground & Nico segna l’inizio di un’era ed è il prodotto di una tripla complessa dialettica per Lou Reed: quella con se stesso, sfociata nel racconto della tirannia dei desideri, dei bisogni e delle dipendenze, le droghe e la bisessualità (per “curare” la quale Reed subì addirittura l’elettroshock, ancora teenager nel 1956), in un contesto, quello della urban life, che sembra trovare la sua ragion d’essere proprio nella stimolazione inesausta dei desideri. La dialettica con Andy Warhol, deus ex machina gigantesco quanto inconsistente dal punto di vista strettamente musicale (John Cale dichiarò in seguito che, sotto l’aspetto della produzione musicale del disco, Warhol “non aveva fatto niente”), che pure permeò l’album, il mood, la vita di Reed della sua rivoluzione pop, senza per l’altro mai scalfire fino ed in fondo l’autentica disperazione della cifra del rocker maledetto. E quella con John Cale, l’autentico partner musicale di Lou Reed, che portò ai Velvet l’ispirazione monotona ed ossessiva della musica in bordone (effetto armonico per il quale la stessa nota od accordo vengono ripetuti per tutto il tempo di una composizione) secondo le sperimentazioni musicali dei dadaisti di Fluxus, che Cale frequentava, fino e a spingere lo stesso Reed a mettere a punto la tecnica dell’Ostrich Guitar (da “The Ostrich”, caustica parodia delle ballate popolari incisa coi Primitives per la Pickwick nel 1964), che consiste nell’accordare tutte le corde della chitarra sulla stessa tonalità. Dopo The Velvet Underground & Nico, Lou Reed entrerà, privo di Warhol e Nico ma privo soprattutto del sodalizio musicale con Cale, dentro quei Settanta che trovò difficili e lo trovarono difficile, addirittura inefficace in principio, e lo costrinsero a cominciare d’accapo dopo i fasti della Factory: “Lou Reed” (RCA, 1972) passa quasi inosservato, ma poi David Bowie, sotto RCA come lui, decide di aiutare quello che riconosceva essere già allora uno dei suoi massimi ispiratori, e gli produsse Trasformer (RCA Records), il disco di Perfect Day, Walk on the wild side, Satellite of Love, per intenderci. Tuttavia, all’indomani di quell’attonito 27 ottobre, sono proprio le parole di commiato di Cale, anche più di quelle dell’amata Laurie Anderson, a suggerirci il senso di una vita capace di sodalizi, umani e d’arte, totalizzanti: “[…] due ragazzini s’incontrano per caso, e 47 anni dopo amiamo e lottiamo allo stesso modo. Perdere uno dei due è incomprensibile”. “Abbiamo messo il meglio della nostra furia su vinile, perché il mondo potesse intravederla”, continua Cale, e sembra non potere stare parlando di nient’altro che dell’album con la celebre banana in copertina; “[…] non può esserci alcun valore sostitutivo, alcun riempitivo digitale o virtuale: è tutto finito, per sempre”.

Ascoltando ancora The Velvet Underground & Nico, tuttavia, possiamo almeno sperare che non del tutto così.

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