Esistono dei motivi molto validi per interrompere le relazioni (diplomatiche e commerciali) con l’Egitto. Eppure queste sembrano essersi addirittura intensificate. Ma possiamo davvero “rompere” con il regime di al-Sisi? Cerchiamo di fare chiarezza sull’argomento.

Antecedenti

Giulio Regeni

Il 26 gennaio 2016, Giulio Regeni, ricercatore italiano dell’Università di Cambridge, moriva al Cairo, dove si trovava per completare la sua tesi di dottorato sui sindacati egiziani indipendenti. Sono passati cinque anni da quel giorno, più di 1.800 giorni per trovare una verità che, almeno dal punto di vista giudiziario, è più lontana che mai.

Il 10 dicembre 2020 la Procura di Roma ha chiuso ufficialmente le sue indagini sulla morte di Regeni, mandando a processo quattro rappresentanti dei servizi segreti civili egiziani accusati di rapimento, tortura e infine uccisione del giovane. Questa conclusione pone sotto accusa i servizi di sicurezza egiziani e delinea le precise responsabilità del governo di Abd al-Fattah al-Sisi, con i suoi numerosi depistaggi e il conseguente rallentamento del lavoro degli inquirenti. Probabilmente anche per questo motivo, la Procura egiziana ha respinto le conclusioni di quella italiana.

Patrick Zaki

Oltre al caso Regeni, dal febbraio 2020 l’UE e l’Egitto hanno cominciato un braccio di ferro sulla sorte di Patrick Zaki. Lo studente dell’Università di Bologna è stato arrestato al Cairo per il suo attivismo per i diritti civili, ed è detenuto da ormai 11 mesi senza un adeguato processo. Questi sono solo due dei tanti fronti che vedono l’Italia opposta all’Egitto, Paese governato da un regime noto per le sue ripetute violazioni dei diritti umani, ma ancora oggi nostro partner commerciale privilegiato.

Nel solo 2019, infatti, l’export militare italiano in Egitto valeva circa 872 milioni di euro, e il prezzo totale salirà presto a 9 miliardi di dollari nell’accordo che porterà nella terra di al-Sisi 6 fregate, 20 imbarcazioni per operazioni di pattugliamento, 24 jet Eurofighter Tycoon, 24 addestratori di jet M-346, elicotteri AW149 e un satellite militare. Insomma uno dei più grandi giri d’affari nella storia dell’export bellico italiano.

Perché si dovrebbero interrompere le relazioni con l’Egitto

Il richiamo

Chi sostiene la scelta di interrompere le relazioni diplomatiche tra Italia ed Egitto lo fa innanzitutto nel tentativo di ottenere una “leva” da utilizzare sui tavoli in cui si discuterà dei casi Regeni e Patrick Zaki. Questa è soprattutto la posizione dei genitori di Giulio Regeni, che da anni chiedono il richiamo dell’ambasciatore italiano in Egitto (in questo momento Giampaolo Cantini) per lanciare un segnale al regime di al-Sisi.

Il richiamo di un ambasciatore è un gesto diplomatico dal forte valore politico, che di solito anticipa una possibile rottura delle relazioni diplomatiche tra due paesi. Al contrario di quanto accade con il ritiro, il suo “semplice” richiamo permetterebbe all’ambasciata e ai consolati di restare aperti – così da assistere i cittadini italiani in Egitto – ma lascerebbe l’Italia senza una rappresentanza formale nel paese africano. L’esito di una simile mossa è al momento imprevedibile.

L’interruzione delle relazioni commerciali

Quello dell’interruzione delle relazioni tra due paesi è un tema molto complesso e delicato, che al suo interno contiene numerose gradazioni di intensità. Una delle misure più drastiche a disposizione è certamente quella che interromperebbe le relazioni commerciali tra Italia ed Egitto, una decisione netta che oggi viene evocata da più parti. Come anticipato, l’Egitto è il primo partner dell’Italia per quanto riguarda l’export bellico, mentre lo scambio commerciale tra i due Paesi vale oggi oltre 4 miliardi di euro e coinvolge 1.200 aziende (tra cui ENI e FCA).

Obiezioni etiche e politiche

I sostenitori di questa misura sottolineano la problematicità di intrattenere scambi commerciali con un Paese accusato di violare sistematicamente i diritti umani, ma non si tratta di una questione puramente etica: la vendita di armi all’Egitto è infatti in contrasto con la legge n. 185 del 1990, che impedisce all’Italia di esportare armamenti «verso i Paesi in stato di conflitto armato» o «verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’UE o del Consiglio d’Europa». Nel 2018 e nel 2019 il Parlamento Europeo ha approvato due risoluzioni che accusano l’Egitto di gravissime violazioni dei diritti umani, tra cui quella perpetrata ai danni di Giulio Regeni.

Un delicato contesto bellico

In più, l’Egitto è attualmente impegnato in conflitti armati e questo ci porta dritti al terzo e ultimo punto. A partire dal 2015 l’Egitto è parte di una coalizione internazionale guidata dall’Arabia Saudita e impegnata nella lotta contro i ribelli sciiti Houthi, in Yemen. Si tratta di una guerra a tutti gli effetti, che ha prodotto oltre 100 mila morti in quattro anni, alla quale il Governo di al-Sisi ha partecipato con 4 navi, una fregata e 40 mila soldati.

Oltre che in Yemen, però, l’Egitto influisce attivamente anche nello scenario libico, dove il regime ha recentemente schierato delle truppe a sostegno di Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica che controlla il sud e l’est della Libia. Haftar è però anche e soprattutto il diretto concorrente di Fayez al-Serraj – il cui Governo è appoggiato proprio dall’Italia e dall’ONU – nonché il principale ostacolo alla pacificazione dell’area. Vendendo materiale militare all’Egitto, è insomma l’obiezione di chi chiede lo stop alle relazioni commerciali, l’Italia sta armando un suo diretto concorrente in quello che ancora oggi è un delicatissimo contesto bellico.

Perché non interrompere le relazioni con l’Egitto

Stabilità in un territorio dagli equilibri fragili

I sostenitori della linea morbida nei confronti dell’Egitto partono di solito da un dato difficilmente contestabile: il Paese gioca un ruolo cruciale nella stabilità di un’area in cui gli equilibri di potere sono molto complessi e frammentati. Per via della sua storia e della sua posizione geografica, infatti, da oltre 40 anni l’Egitto (che confina con la Striscia di Gaza) intrattiene un rapporto di “buon vicinato” con Israele, fungendo da mediatore tra questi e i rappresentanti dei Territori Palestinesi.

Le relazioni tra Israele ed Egitto si sono ulteriormente cementate in seguito all’ascesa al potere di al-Sisi, che dopo aver deposto l’ex presidente Morsi ha dato il via a una guerra senza quartiere contro i Fratelli Musulmani (organizzazione a cui Morsi apparteneva e che ha di fatto dato vita ad Hamas, l’organizzazione paramilitare che attualmente controlla la Striscia di Gaza). Minare l’autorità di al-Sisi, attraverso sanzioni economiche e diplomatiche, rischierebbe di aprire una crisi nell’area dagli effetti impossibili da determinare.

La lotta al terrorismo

Un ragionamento simile vale anche per quanto riguarda la lotta al terrorismo, dal momento che l’atteggiamento intransigente di al-Sisi contro il terrorismo islamista ha reso l’Egitto uno dei protagonisti della campagna contro l’autoproclamato Stato Islamico. Il rischio è ancora una volta quello di destabilizzare la regione.

Le migrazioni

Un altro punto battuto dai sostenitori della continuità diplomatica con l’Egitto riguarda la gestione dei flussi migratori dall’Africa. Nel settembre del 2017, l’allora Ministro dell’Interno Marco Minniti aveva infatti stipulato una «intesa tecnica» con l’Accademia di Polizia e il Ministero dell’Interno egiziani per «combattere il traffico degli esseri umani e la criminalità organizzata». Non solo, dunque, Italia ed Egitto collaborano attivamente per contrastare il flusso di migranti, ma il nostro Paese spende dei soldi per far sì che ciò avvenga. Di contro, il protagonismo di al-Sisi nello scenario libico rende difficile una soluzione alla crisi nel Paese che fu di Gheddafi e ciò indirettamente aumenta le partenze dalla Libia verso l’Italia.

Le preoccupazioni dell’Italia sul tema hanno però anche carattere strategico: nel solo anno 2020 i migranti arrivati in Italia dall’Egitto sono stati oltre 1.200 (sesto Paese per numero di arrivi), un dato che con molta probabilità salirebbe senza il controllo sul territorio attuato da al-Sisi. Anche per questo motivo l’Italia considera l’Egitto un «partner ineludibile», come dichiarato nel 2017 dall’allora ministro degli Esteri Angelino Alfano.

Gli scambi commerciali

L’ultima freccia all’arco di chi vuole evitare l’interruzione delle relazioni con l’Egitto è quella economica. Come anticipato, lo scambio commerciale tra i due Paesi è molto florido, complice la vicinanza geografica, e l’Italia nutre degli interessi strategici nei confronti del suo dirimpettaio. Primo tra tutti quello rappresentato dall’ENI, che grazie a ben 16 concessioni nel Paese – tra cui quella di Zohr, il più grande del Mediterraneo – estrae ogni anno 27 milioni di barili di petrolio e 15,6 miliardi di metri cubi di gas.

L’ENI è oggi per il 30% in mani pubbliche e un’interruzione delle relazioni con l’Egitto metterebbe a rischio non solo gli investimenti statali nell’azienda, ma anche la supremazia italiana nell’area: il pericolo, come sta già accadendo in Libia, è di essere soppiantati dalle compagnie petrolifere francesi. Anche perché, come dimostra la Legion d’Onore concessa da Macron ad al-Sisi, i rapporti tra Francia ed Egitto non sono mai stati così forti.

Conclusioni

Come spesso accade, il tema dell’interruzione delle relazioni diplomatiche tra Italia ed Egitto mette di fronte il rispetto dei diritti umani e la realpolitik. Esistono dei chiari motivi (anche suffragati dalla legge) per chiudere con il nostro partner nordafricano, ma è una decisione che avrebbe numerosi costi e molteplici conseguenze.
Le armi diplomatiche a disposizione del nostro Paese non sono tuttavia poche e di certo non sono tutte radicali. Il richiamo dell’ambasciatore italiano in Egitto è una di queste ed è quella richiesta a gran voce dalla famiglia di Giulio Regeni, che da ormai cinque anni aspetta giustizia. Un tentativo in tal senso è già stato fatto nel 2016, seppur con scarsi risultati, ma i suoi effetti sarebbero oggi imprevedibili.

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