Nel mondo ci sono migliaia di persone pagate per pagate per guardare i contenuti postati sui social o su Youtube in 50 lingue. Molte di queste non ne possono più.
Le origini
Nel 2016, anno delle elezioni Usa, Mark Zuckerberg viene pressato dal mondo intero affinché moderi maggiormente i contenuti che finiscono sulle sue piattaforme. Inizia perciò a stipulare molto contratti con aziende terze, che ricevono il compito di moderare i post in tempo quasi reale. Stiamo parlando di aziende come Accenture, Cognizant e altre.
Il lavoro dei moderatori è semplice: arrivano in ufficio, si siedono al computer e iniziano a guardare post che sono a rischio. Quindi decidono se approvarli o censurarli. In media il processo richiede 30 secondi a contenuto, per un totale di circa 400 contenuti al giorno per dipendente.
I numeri
Solo nell’estate 2020 i moderatori di Facebook sono intervenuti su 36 milioni di post contenenti immagini pornografiche, 19 milioni contenenti violenze, 22 milioni contenenti hate speech e 1,3 milioni contenenti atti di autolesionismo. I post peggiori si possono facilmente immaginare: violenze, stupri, suicidi.
Quando su un post offuscato appare la scritta “Contenuto sensibile” significa che qualcuno ha valutato il video o l’immagine lì sotto poteva essere disturbante per il pubblico. Qualcuno che, prima di noi, quel contenuto l’ha visto. E che, per esempio (come un caso realmente accaduto), ha iniziato ad avere attacchi di panico dopo aver visto un uomo venire ucciso a coltellate in un video che avrebbe dovuto moderare per Facebook.
Sintomi
Molti moderatori sperimentano sintomi di stress traumatico secondario, un disturbo che può derivare dall’osservazione di un trauma vissuto in prima persona da altri. E’ tipicamente sofferto da medici, psicoterapeuti o assistenti sociali.
A poco servivano le sessioni di yoga e le poche attività di terapia introdotte in ufficio. Una volta lasciato il lavoro, i dipendenti non avevano più alcun diritto a un supporto psicologico. E così, affrontavano i traumi a modo loro, raccontando barzellette dark, fumando erba durante le pause per calmarsi o facendo sesso in ufficio per attenuare l’angoscia.
Molti hanno iniziato ad appoggiare le teorie cospirazioniste che sono chiamati a controllare. Alcuni sono diventati terrapiattisti. Altri hanno messo in dubbio l’Olocausto o l’11 settembre.
Il contratto
Da qualche mese i moderatori di Youtube e Facebook devono firmare un documento in cui riconoscono che il loro lavoro “potrebbe portare a disturbo da stress post-traumatico”. Molti moderatori, dopo mesi passati a guardare immagini violente, sviluppano questo tipo di sindrome. E’ un disturbo osservato per la prima volta negli anni ’70 studiando i veterani americani di ritorno dal Vietnam che accusavano disturbi psicologici e fisici mesi e a volte anche anni dopo la guerra.
Esattamente come i soldati che sono stati esposti a morte e violenza al fronte, i moderatori dei social rivivono l’esperienza traumatizzante delle immagini viste, attraverso flashback improvvisi di giorno e incubi di notte. Il loro corpo produce livelli anormali di ormoni coinvolti nella risposta allo stress e alla paura. Fisicamente possono avere dolori al torace, capogiri, emicranie; psicologicamente, possono essere preda di rabbia improvvisa, depressione, ansia e irritabilità.
C’è chi non dorme più, chi dorme solo con una pistola sotto il cuscino, chi sobbalza a ogni rumore improvviso, chi chiude gli occhi per un momento e rivede le immagini di stupri, ritrovandosi in un attacco di panico.
Le richieste
Tra aprile e giugno, Facebook ha rimosso 7 milioni di post con false informazioni sul Coronavirus. E 200 moderatori hanno scritto a Zuckerberg, chiedendo più soldi e garanzie. A maggio 2020, la svolta: in un riconoscimento storico dei moderatori come parte della propria forza lavoro, Facebook ha accettato di pagare 22 milioni di dollari ai moderatori che hanno sviluppato disturbi mentali a causa della loro attività.
E’ la fine giudiziaria di una causa intentata due anni prima da Selena Scola: ex moderatrice di Facebook, ha sviluppato disturbo da stress post-traumatico dopo 9 mesi passati a guardare video e foto di stupri, assassinii e suicidi. E la colpa, diceva, è anche di Facebook, che non le avrebbe garantito un posto di lavoro sicuro. Assieme a lei si sono unite altre decine di moderatori.
L’accordo
Con il primo accordo raggiunto davanti alla Corte di San Mateo, in California, Facebook ha accettato di pagare le cure ai moderatori che abbiano sviluppato disturbi mentali. Nell’accordo si è impegnato anche a introdurre misure per alleviare lo stress dei moderatori: tutti i video saranno guardati in bianco e nero e con il muto, per ridurre il coinvolgimento emotivo. I moderatori, poi, avranno un accesso settimanale a un mental coach, e in caso di allarme rosso sarà garantito loro un consulto psicologico nel giro di 24 ore.