protesi sportive

Fisso da vicino la fotografia di un ragazzino – è davvero molto giovane – che fa stretching seduto per terra, sulla terra rossa di una pista di atletica. La mano sinistra si allunga fino alla punta della scarpetta da corsa, morbida e colorata, mentre il braccio e la mano destra si sforzano di raggiungere quella forma a falcetto, elastica e colorata anch’essa, che abbiamo imparato a conoscere la prima volta nelle gare del velocista sudafricano Oscar Pistorius: è la sua protesi. La cosa più bella della fotografia è il volto del ragazzo: deciso, concentrato, soprattutto sereno.

Le protesi sportive, per la loro diffusione e nelle loro molteplici forme, sono entrate ormai nell’immaginario comune di chi segue lo sport, e fanno parte del quotidiano dell’universo agonistico, più o meno in ogni disciplina. Ciò che è evidente è che questi strumenti non restituiscono solo lo sport agli sportivi, ma, ancora più spesso, riaprono le porte della socialità tout-court anche a chi uno sport non l’ha mai praticato.

Qualche curiosità sulle protesi sportive

Le protesi esistono, in realtà de tempo immemorabile: ne fece uso, nel 950 a.C., una donna dell’alta società egizia. Il tentativo di restituire ad un essere umano una sua funzione spezzata ha fatto da sempre parte dello sforzo più profondo e acuto dell’ingegno umano. D’altronde chi non ha presente le “protesi” di legno o di ferro, terminanti con un uncino, caratteristiche dei pirati, riproposte anche nei cartoni animati d’avventura e, poi, nominate in tante canzoni (vedi Edoardo Bennato…)?

Nel Novecento l’enorme numero di mutilati di guerra aguzzò ancora gli ingegni, e la medicina e la meccanica furono protagoniste nel tentare di restituire a tanti un’inclusione sociale apparentemente persa per sempre. Oggi, chiaramente, parliamo di un concetto totalmente diverso di intervento, e di un senso stesso dell’ausilio protesico che è rivoluzionato. Non si tratta più di ricostruire qualcosa che non c’è più, e fermarsi lì. Oggi il senso delle protesi è sempre più “performativo”; assolutamente non estetico, bensì ottimizzante le funzioni perse dalla persona che ha subìto una mutilazione.

Come dicevamo all’inizio, il miracolo più luminoso della tecnologia sono i volti di tanti ragazzi a cui la scienza ha restituito il quotidiano. Sarà banale, ma mi viene alla mente la risata contagiosa di Bebe Vio.

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