Il 2015 inizia nel Belpaese, almeno sul fronte dell’occupazione con dei dati positivi. Stando agli ultimi dati pubblicati dall’Istat dopo mesi di segno negativo, il mercato del lavoro sembra rialzare la testa. L’occupazione a dicembre aumenta dello 0,4 per cento (più 93 mila), tornando su valori vicini a quelli di settembre. Su base annua la crescita è dello 0,5 per cento (più 109 mila). L’Istat rileva che a dicembre 2014 gli occupati sono 22 milioni 422 mila. L’Eurostat aggiunge che a dicembre in Italia si registra il calo della disoccupazione più sensibile di tutta l’Unione Europea.

Questo il quadro generale. Ma il mercato del lavoro è davvero così chiaro e trasparente o almeno imparziale quando i dati riguardano il genere femminile? La parola “donna” ancora oggi sembra spaventare i protagonisti del mondo del lavoro. E questo dato sembra scoraggiare persino la ricerca di un lavoro se si è donne e ancor più del Sud Italia. Dati al limite del grottesco e pregni di luoghi comuni? Tristemente dobbiamo ammettere che sono dati reali. Vengono classificati come “inattivi disponibili” che non cercano lavoro ed in Italia sono il triplo di quelli europei: in gran parte è il popolo dei “senza fiducia”. Sono coloro, secondo i dati Eurostat, che vorrebbero lavorare, ma hanno deciso di rinunciare a cercare un impiego perché bloccati dalla sfiducia di trovarlo, dalla cura dei figli o comunque da impegni familiari o da altri motivi, tra cui c’è però anche lo studio e la formazione professionale. Le donne – e geograficamente il sud del Paese – guidano la classifica di questa non ricerca.

Nel Jobs Act del Governo Renzi sono incluse proposte che cercano di affrontare i due nodi cruciali – e apparentemente contraddittori – della situazione delle donne italiane: la bassa partecipazione al mercato del lavoro e la bassa fecondità. L’occupazione femminile in Italia da anni si trova oltre 10 punti percentuali al di sotto della media europea (è al 46,7 per cento, mentre nei paesi UE è del 58,8 per cento). Nel 2014 il tasso di occupazione femminile ha lentamente ripreso a salire al Nord e al Centro, ma è in continua diminuzione al Sud, dove non supera il 30 per cento.

Ma se l’Italia ha ancora oggi uno sguardo “sospettoso” verso le lavoratrici, qual è la situazione nel resto d’Europa?

La disoccupazione ha raggiunto livelli senza precedenti nell’UE-28. Il tasso di disoccupazione era diminuito di oltre 2 punti percentuali tra il 2003 e il 2008, ma la crisi economica e finanziaria ha causato un grave peggioramento.

Tra il 2008 (cifra annuale) e il secondo trimestre del 2013, il tasso di disoccupazione (destagionalizzato) nell’UE-28 è passato dal 7,1% al 10,9%. Nel corso del tempo l’andamento è stato più o meno simile per i diversi gruppi presenti nel mercato del lavoro, salvo alcune eccezioni. In primo luogo, la disoccupazione giovanile sembra essere più reattiva nei confronti del ciclo economico in generale. In secondo luogo, il sopraggiungere della crisi ha determinato un incremento più rapido della disoccupazione maschile rispetto a quella femminile, soprattutto in quanto i “settori a prevalenza maschile” sono stati i più colpiti. Questo aspetto emerge dalla forte impennata dell’occupazione totale rispetto all’occupazione femminile tra il 2008 e il 2009. L’Europa è dunque più women-friendly?

I divari di genere nei tassi di attività sono particolarmente elevati in vari Stati membri meridionali dell’Unione, come la Grecia, l’Italia e il Portogallo. Altri paesi mostrano elevati livelli di attività femminile ma sono caratterizzati dalla diffusione del lavoro a tempo parziale per le donne: è il caso, ad esempio, dei Paesi Bassi (77,3%), della Germania (46,5%) e dell’Austria (45,6%), nel secondo trimestre del 2013. (infografica 3)

La Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Eurofound) è una tripartita Agenzia dell’Unione europea che è stato istituito nel 1975 per contribuire alla pianificazione e progettazione di migliori condizioni di vita e di lavoro. Svolge il suo ruolo in collaborazione con i governi, datori di lavoro, i sindacati e le istituzioni dell’Unione europea.

Secondo i dati emersi dall’ultimo sondaggio sulla situazione occupazionale dell’Europa (European Working Conditions Survey) l’obiettivo della parità di genere, ormai da tempo stabilito nei trattati e gli obiettivi politici dell’UE, continua a dimostrare sfuggente. La differenza di genere è ancora evidente nei modelli di accesso al mercato del lavoro, nei modelli di occupazione e nelle condizioni di lavoro. La chiusura dei divari di genere in variabili del mercato del lavoro, come i tassi di occupazione e di disoccupazione e i livelli salariali, è stato uno dei principali obiettivi della politica dell’UE.

In tempi recenti, sotto l’impatto della crisi, queste lacune sono, in alcuni paesi, sembrate diminuire. Tuttavia, a ben guardare, questo fenomeno di “rivalutazione del femminile” dipende solo dal progressivo peggioramento della condizione lavorativa anche maschile. Mal comune, mezzo gaudio? Certamente no.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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