La tregua, nel senso del riposo assoluto, dura un paio di giorni, perché vogliamo vedere il sito archeologico di Butrinto, patrimonio dell’Unesco. Gli scavi, le cui origini affondano nella civiltà greca, poi romana, sono incastonati dentro il canale di Vivari, lo sbocco a mare dell’esteso lago Butrinto, e il colpo d’occhio è decisamente notevole. Contrariamente a quanto ci aspettiamo non sono piccolissimi e il percorso risulta molto gradevole perché l’area è arricchita da tanta vegetazione che si giova dell’acqua del lago e i resti ci sembrano ben conservati, come quelli del teatro. Ce ne andiamo soddisfatti e puntiamo verso il mare, visto che le temperature sono decisamente alte. Al tramonto ci concediamo una birra sul passaggio pedonale di Ksmail e io ne approfitto ancora per scrutare i volti dei giovani, quelli nati dopo la dittatura. Mi sembrano felici, pieni di energia e nient’affatto preoccupati. Tutti collegati al wifi, a bere drink e ad ascoltare musica house sparata a palla dalle casse dei lidi.

tempio scavi di butrinto

Lo scenario cambia nel tragitto di ritorno verso casa. Attraversiamo paesini piccolissimi e un po’ sgangherati dove si vedono uomini seduti al bar a bere e a giocare a carte, donne anziane – forse, non lo so, nemmeno tanto – incurvate, vestite di nero, con l’andatura lenta,  e bambini con vesti striminzite che giocano a pallone in strada. Rinfrancati dal mare pomeridiano, l’indomani possiamo affrontare un’altra gita fuori porta: Syri i Kaltër, letteralmente occhio blu. È una sorgente carsica dove l’acqua assume sfumature molto particolari, dal verde, al blu, fino al viola. Per arrivarci percorriamo una località tortuosa costeggiata da un canale di acqua limpida (quella della sorgente poco lontana), che si chiama non a caso Mesopotamia, e giunti a destinazione siamo invasi da una marea di gente. Parcheggiamo l’auto in un posto non affollato, ignorando la distanza dalla fonte: due chilometri sotto il sole di mezzogiorno attraverso una strada sterrata, con Gigi quasi morto di sudore.

teatro romano scavi di butrinto

La sorgente è bella, allieta la vista con i suoi mille riflessi nell’acqua cristallina e la rigogliosa vegetazione che l’abbraccia, ma è invasa da turisti che la rendono chiassosa. Noi proviamo a spostarci dalla calca e ci lasciamo cullare dal suono naturale del potente scroscio dell’acqua che ovviamente assaggiamo. Un’acqua così non l’ho mai bevuta. Confortati dalla natura siamo pronti per i due chilometri del ritorno. La seconda parte della giornata è a mare dove la pace e la simpatia di Vittorio ci avvolgono completamente. Ci godiamo il riposo per affrontare l’indomani Gjirokaster, detta la città dai tetti di argento o dei duemila scalini (Gigi non lo sa) o ancora delle pietre. Anch’essa patrimonio dell’Unesco. Come sempre la strada per arrivarci è piuttosto impervia – ormai abbiamo capito che bisogna procedere a passo d’uomo – ma una volta arrivati a destinazione ci rendiamo subito conto che ne è valsa la pena. Ci troviamo a 300 metri di altezza in una città dalle fattezze ottomane dove visse Ali Pasha di Tepelene, governatore spietato ma amante dell’arte, e dove nacque il dittatore Enever Hoxha.

castello di girocastro

Le sue caratteristiche viuzze in salita, per la gioia di Gigi, popolate da case in pietra e su cui si affacciano negozi di artigianato (tappeti, tovaglie ricamate a uncinetto, babbucce di lana lavorate a mano), e gli splendidi cortili ci ripagano del disagio del trasporto (ma non possiamo fotografarli perché abbiamo i cellulari scarichi). Nel centro storico si erge la Fortezza che domina, con cinque torri e una dell’orologio, la piana sottostante. Al suo interno c’è il Museo delle Armi e una prigione utilizzata dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale. mGjirokaster è una delle città più sviluppate dell’Albania in quanto luogo natio del dittatore. Ci sediamo a un bar e ammiriamo questo posto bello e fortunato, con complessi architettonici di pregio, molto diverso dai paesini che finora abbiamo attraversato, ancora avvolti in un’aura medioevale. Nel ’97 la casa natale di Hoxha fu fatta saltare in aria da ignoti. Questo attentato lo penso come un gesto di liberazione. Un urlo infinito.

siri i karter

Il richiamo del mare si fa sentire e noi non opponiamo alcuna resistenza, anche perché domani ci sposteremo a Tirana e vogliamo godere dell’ultimo bagno e della tranquillità del “nostro” lido. Anche oggi i bambini, bellissimi, non danno alcun cenno della loro presenza. Al calar del sole, come ormai di rito, ci facciamo una passeggiata sul lungomare di Ksmail, rammaricati per non essere riusciti a salutare Vittorio che oggi non si è visto. Lo incontriamo per caso. Gli diciamo che domani andremo via e lo salutiamo. Lui ci sfodera un sorriso dolcissimo e i suoi occhi, dello stesso colore del mare, sono davvero sinceri nell’augurarci ogni bene. Ci saluta dicendoci: «Ci vediamo a Napoli». Poi ci chiede, se vogliamo, di lasciare una recensione del Guapaloca su Tripadvisor. «Nientedimeno!», gli rispondiamo. Lui ride. Questo sarà compito di Gigi, insignito da Tripadvisor della medaglia di recensore eccellente. mL’indomani Tirana ci accoglie di sera con il suo viale alberato, i negozi nuovi e i baretti disseminati un po’ ovunque, pieni di giovani vestiti alla moda che parlano vivacemente maneggiando telefonini di ultima generazione.

veduta lago di butrinto

In piazza Skanderbeg le fontane con i bocchettoni a terra zampillano a intermittenza e i bambini ci si piazzano sopra facendosi innaffiare. Ridono di gusto. Almeno loro, diversamente dai genitori, possono godere della libertà. L’atmosfera di Tirana è piacevole, le zolle di verde nel rinnovato centro storico le conferiscono un’aria da salotto letterario. Noi la respiriamo a pieni polmoni e nel rientrare in albergo non possiamo di certo farci mancare un morso al birek, una sorta di pizza di pasta fillo imbottita di formaggio e spinaci o di carne. Una vera delizia. Domani si rientra alla base, non prima di aver visitato il Bunk’Art2. Una vocina dentro mi dice che non sarà facile questa visita. Lo schiaffo inflitto dal racconto delle atrocità delle dittature è sempre violento. Ma la memoria è un dovere, per noi. Una necessità per il popolo albanese.

 

 

 

 

 

 

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