Parte Seconda
Alla vista, scendendo verso sud, il paesaggio esprime tutta la contraddizione degli Stati a lungo chiusi a chiave. Le strade sono un calvario – l’impiegato della società di noleggio della nostra Dacia Sandero ci spiega che sono nettamente migliori rispetto a due anni fa – e non di rado occupate da mucche e pecore che i pastori non si curano di governare; i pali della corrente elettrica sono vecchissimi e stridono con le costruzioni moderne, di cui pullulano le città a vocazione turistica.
Saranda, infatti, è zeppa di palazzi nuovi e di case in costruzione, scavante per una buona parte dentro la montagna. Ed è proprio nelle città di mare che si respira la voglia di essere come tutti gli altri. Gigi ed io ci troviamo dentro la declinazione albanese della nostra riviera romagnola.
Sul corso principale, pedonalizzato, è una babele di ristoranti, chioschi, venditori ambulanti. Ci sembra di essere ritornati alle nostre rispettive vacanze degli anni ‘80: passeggiata, gelatino o noccioline, giostrina e poi a nanna. Ma Saranda – lo scopriamo presto – offre divertimento anche ai giovani. Nel nostro bilocale panoramico, allocato dentro un palazzo ancora in costruzione e con evidenti problemi alla rete fognaria – abbiamo capito che tutta l’Albania fronteggia questo problema, insieme a quello dell’interruzione della corrente elettrica e dell’immondizia selvaggia -, siamo allietati fino a tarda notte dai beat della discoteca giù al porto, oltreché dai clacson delle macchine, qui veri e propri oggetti di culto. Ad ogni angolo di strada trovi un lavhazo e uomini intenti a lustrare automobili a qualsiasi ora.
Il tempo per riposare le orecchie ce lo prendiamo al mare.
Con la nostra non tanto fedele Dacia Sandero – abbiamo provato a suonare a una mucca al centro della strada e il clacson non ha fatto il suo dovere – percorriamo la costa verso sud e a 17 kilometri da Saranda raggiungiamo Ksamil dove il colpo d’occhio della macchia mediterranea – mare azzurro, pini e piante di mirto – è davvero notevole. A completare lo scenario il vento caldo, l’odore della vegetazione e il canto delle cicale. A Ksamil c’è un susseguirsi di lidi che per la modica cifra di 4 euro affittano due comodi lettini con ombrellone in paglia fisso. Noi siamo richiamati dalla tranquillità e dall’ombra dei pini (soprattutto Gigi) del lido Guapaloca, disposto su tre terrazze, dove stringiamo subito amicizia con Vittorio, il gestore, che ci racconta di aver vissuto 10 anni a Firenze e di essere stato anche un paio di anni a Napoli.
Sembra avere voglia di parlare un po’ con noi e io ne approfitto per chiedergli com’era il Paese 25 anni fa. Il suo sorriso accogliente si spegne e con tono mesto mi risponde: «Non si poteva fare niente. Pensa che lo Stato ci passava 100 grammi di caffè al mese. Capisci? La vita era durissima». Gli credo, eccome. Se non altro perché quella durezza gli si legge nelle pieghe del volto: ha 42 anni ma ne dimostra almeno dieci, se non quindici, in più. Io provo timidamente a ribattere che l’istruzione e la sanità almeno non si pagavano, ma è un’argomentazione troppo debole, me ne rendo conto. Anche se Vittorio mi dice che ha una figlia all’università e i costi delle tasse ora sono molto alti. È difficile commentare questi aspetti dell’Albania.
Prima l’istruzione era gratis – si pagava pochissimo anche per andare al teatro, al cinema o a sentire un concerto di musica, quella autorizzata dal regime, – e tutti potevano studiare ma in assenza totale di libertà di pensiero; oggi sono liberi ma solo una metà della popolazione può permettersi l’istruzione. La figlia di Vittorio, per esempio, frequenta l’università perché suo padre ha un’attività commerciale in Albania e un’altra in Grecia (si ammazza di lavoro), e pure quelli che gestiscono i ristoranti sembrano passarsela bene, anche se – ci dice Vittorio – sono soggetti a frequenti controlli da parte della polizia che riscontra sempre qualche irregolarità, ma è ben disposta a chiudere un occhio dinanzi ad una lauta ricompensa. In Albania funziona spesso così.
Lasciamo il nostro amico al suo lavoro e ci tuffiamo nel mare blu, caldo e accogliente, gustandoci il bel panorama della costa, delle sue isolette verdi e il sole cocente mitigato dal vento. La maggior parte degli avventori sono albanesi, con bambini al seguito, ma quasi non ci accorgiamo della loro presenza perché sono silenziosissimi, anche i poppanti. Se penso al casino che fanno i miei tre nipotini, mi sorge il dubbio che i bambini albanesi siano dei bambolotti gonfiabili.
Questo posto ci piace, anche perché non lontano abbiamo scoperto un ristorantino a picco sul mare che cucina un’ottima moussaka e dove si può mangiare pesce fresco a prezzi ridicoli, per noi italiani.