Proprio in questi giorni Harry Styles, cantante rock britannico ed ex degli One Direction, si è esibito sui palchi di Bologna e Torino. Le due serate sono state folgoranti ed hanno mandato in visibilio i fans. È stata anche l’occasione per ammirare quello che lo stesso Styles ha voluto che fosse un “look della gentilezza”. Non che il rock sia la musica degli “aggressivi” o dei “ruvidi”! Il rock può essere “ruvido” nell’esecuzione (deve “dare” quel qualcosa, come dire, di “roccioso” e tosto), o aggressivo e graffiante nel “colore” delle note, ma sa essere “gentile” e poetico nei suoi più alti interpreti. Qui invece si tratta di una rivoluzione nel look, nella rock-fashion.
Uno dei brani di Harry Styles (è incredibile, di cognome fa proprio Styles, “stile” al plurale) ha come titolo “Treat people with kindness”, che sta per “tratta la gente con gentilezza”. E il suo guardaroba, ultra-vario e pieno di tinte vivacissime e “pazzi” accostamenti, vuole essere un’espressione di un atteggiamento tenero e malleabile, che si “spugna” dei colori del mondo intero. Il contrario di un certo “virilismo” maschile. Chiariamo sùbito: non è che una black-fashion esprima violenza…siamo ben lontani dal pensare una cosa simile! Siamo semplicemente di fronte ad una “scelta” stilistica (che può piacere ma anche no): la scelta di “vestire il rock” di tonalità nuove. Probabilmente anche per sostenere l’idea di “fluidità” di genere, al centro di tante lotte politiche nel mondo contemporaneo. Tanto che l’opzione per questa personalissima linea-fashion – fatta di pois, paillettes, e colori dal black al rosa shocking – è stata definita rivoluzione genderless (termine che vuol dire “senza genere”). Ma le cose sono un po’ più complesse, come ha spiegato il direttore creativo di Gucci (il brand che ha “vestito” Harry). E forse anche più intriganti, in un certo senso…
«Non creo abiti per donne o uomini, ma per esseri umani»
Forse la cosa più interessante di tutta questa storia è stata un’intervista rilasciata da Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, che si è occupato del guardaroba di Harry Styles. Alessandro Michele ha parlato con entusiasmo del nostro tempo, quello che stiamo vivendo, e questa è già una cosa che non passa inosservata, perché abbiamo bisogno anche di chi ci dice che qualcosa sta funzionando, in questo mondo. Michele ad un certo punto sembra avvicinarsi all’idea di moda genderless, quando afferma di non condividere il concetto di creare abiti per donne o per uomini. «Per me si tratta più di creare abiti per esseri umani» sottolinea. Ma poi il direttore creativo di Gucci afferma di non amare il termine “genderless”, e di ritenerlo inappropriato. E ci rimanda al titolo di una sua mostra al Victoria & Albert Museum di Londra, che suona “Fashion Masculinities”. Mode maschili. Una contraddizione?
Non è tanto il less, ma il more (non è tanto il “senza” ma il “di più”)…
Alessandro Michele (capigliatura folta e lunghissima, un viso sereno e cordiale) ha spiegato che non si tratta, a suo avviso, di unificare o eliminare i generi, bensì di approfondirne le infinite sfaccettature. Non serve un “less”, ma un “more”. Non occorre “togliere”, bensì “aggiungere”. «Siamo qui a parlare di fashion masculinities, proprio perché non esiste un solo modo di essere uomo (o donna), anzi». Ed ecco che gli infiniti colori di Harry Styles assumono un significato diverso, e forse più universale, più robusto. Non si tratta, in maniera forse troppo “ideologica”, di “negare” il genere maschile o femminile. È l’ora, invece, anche laddove non ci si identifica in una “fluidità”, di cogliere gli “infiniti modi” di essere nel mondo come maschio o come femmina. Prosegue Michele: «È un buon tempo quello in cui viviamo. Siamo seduti nella sala di un museo a parlare di identità maschili. È fantastico poterlo fare».