Le promesse fatte col Recovery Fund sono tante. Se fino a un certo punto si tende a mantenere del riserbo su quanto potrà effettivamente migliorare i vari campi in cui si utilizzerà, c’è anche un certo tipo di politica (e di mezzi di informazione) che lo presentano come il Santo Graal che mancava al nostro paese, la soluzione ad ogni gap. Volendo concentrarci su uno solo di questi campi, i 66 miliardi di euro che verranno stanziati per la digitalizzazione e l’innovazione basteranno a colmare il divario col resto d’Europa?
Un’istantanea della situazione
Dai dati raccolti dalla Banca Centrale Europea apprendiamo come l’Italia, ad oggi, sia quartultima nella classifica di digitalizzazione dell’economia, seguita da Lituania, Spagna, Portogallo e Grecia. Fino ad oggi (dal 2015) il contributo del digitale al PIL del nostro paese ha conosciuto un blando incremento di anno in anno (4,5% contro la media europea del 6%). Gli investimenti compiuti sulla banda larga per migliorare la connettività del paese poco hanno fatto per incrementare il capitale umano nelle attività digitali e per l’integrazione e l’innovazione tecnologica tra le imprese e il settore pubblico. Siamo infatti al 7% (la quota dell’occupazione totale dipendente per le Telecomunicazioni) per Italia, Grecia e Slovacchia contro il 22% di Lussemburgo.
Per quanto riguarda l’integrazione tecnologica nelle imprese prendiamo in esame i dati del rapporto Istat “Imprese e ICT” (ICT sta per Information and Communication Technology). Poche sono le applicazioni digitali più evolute utilizzate dalle PMI (solo l’8% dichiara di utilizzare almeno due dispositivi smart o di sistemi interconnessi di big data) e ancora meno quelle che utilizzano stampanti 3D nei processi di produzione (4,5%). Nelle aziende con almeno 10 dipendenti, l’82% di queste non adotta più di 6 tecnologie tra le 12 considerate dall’indicatore europeo di digitalizzazione. Uno dei pochi dati con una crescita considerevole riguarda le imprese che forniscono, sui propri siti web, informazioni sui prodotti offerti (dai 33,9% del 2019 al 55,5% nel 2020).
Piani e risorse
I 66 miliardi di risorse, articolate nel PNRR (Piano Nazionale di Rilancio e Resilienza) per la digitalizzazione, l’innovazione, la competitività e la cultura saranno riprese tra Recovery Fund, Pon e Legge di Bilancio 2021 e saranno suddivise per missioni.
La priorità sarà data allo sviluppo e l’efficienza del cloud nazionale e l’interoperabilità delle PA (pubbliche amministrazioni) per riformare le PA insieme al progetto Europeo GAIA-X. A questi sviluppi si affiancherà una riforma della giustizia per snellire i processi giudiziari e amministrativi e per accrescere le competenze digitali nel capitale umano.
Grande importanza anche per il piano di Transizione 4.0, per supportare un sistema di credito d’imposta per l’acquisto di beni strumentali (materiali e immateriali) e l’investimento nella ricerca e lo sviluppo per la sostenibilità ambientale e l’evoluzione digitale.
Continua lo sviluppo della banda larga, del 5G e del sistema di monitoraggio satellitare, denominate infrastrutture abilitanti, che prevedere l’estensione della banda ultra-larga alle aree grigie, la fibra ottica nelle realtà pubbliche prioritarie (come le scuole) e l’implementazione del 5G nelle vie di comunicazioni extra-urbane e negli impianti sportivi pubblici, con particolare attenzione alla promozione dei servizi offerti dal 5G.
Si punterà anche sul turismo e sulla cultura 4.0, individuate in tre aree di intervento:
- Patrimonio culturale per la Eu Next Generation, per la rigenerazione del patrimonio culturale e urbano in alcune delle principali città italiane, previsto con restauri e rifunzionalizzazioni di complessi di elevata valenza storico-architettonica e testimoniale;
- Siti minori, aree rurali e periferie, per la valorizzazione e la riqualificazione di siti minori come borghi e comunità storiche;
- Turismo e cultura 4.0, per supportare gli operatori nella transizione green e digitale nell’ottica di una partecipazione attiva dei cittadini, sostenendo l’integrazione tra hub creativi e territorio grazie all’innovazione tecnologica.
Gli autori del PNRR
Dopo la stesura del piano, gli stessi autori hanno ammesso come molte delle attività andranno in realtà a coprire progetti già avviati o fermi per mancanza di coperture. Con queste premesse, tenendo quindi conto che i fondi andranno solo in minima parte a nuovi progetti, c’è da aspettarsi che il divario sarà sì coperto ma solo nel breve periodo. Questo perché anche il resto dell’Unione investirà e sta già investendo nell’innovazione tecnologica da loro già avviata e che vede l’Italia partire svantaggiata. I progetti sono necessari, ma con questa consapevolezza sappiamo di non poterci fermare qui. C’è ancora molta strada da fare per recuperare gli anni di ritardo che l’Italia ha accumulato per colpa di un governo e di una classe dirigente poco proiettata al futuro, almeno fino ad oggi.