Marketing pubblicitario

Oggi la pubblicità, come i video musicali dei cantanti sulla cresta dell’onda, prevede la presenza e le “prestazioni artistiche” di attori, sceneggiatori, registi. Ogni spot è quasi un cortometraggio. C’è un’attenzione assoluta per immagini, ambientazioni, inquadrature, parole. Lo slogan finale è il risultato di una lunga, accattivante narrazione verbale. La questione aperta oggi dai sociologi è: progresso artistico-comunicativo o regresso verso una cattura “violenta” dei consumatori? Il marketing pubblicitario è un concetto che genera ampie discussioni.

Siamo lontani, oggi, non solo dagli anni del “Carosello” che divertiva grandi e piccini, ma anche dal concetto di pubblicità degli anni ’80-’90. Il Carosello, terminato in Italia nel 1977, era una vera e propria carrellata (sembra un gioco di parole) di minispettacoli “teatrali” che avevano lo scopo di “magnetizzare” lo spettatore (sì, già di magnetizzarlo…), ma divertendolo con ironia. Quindi, in fin dei conti, i “creatori” degli spot avevano come mission “di sottofondo” quella di non prendersi troppo sul serio. Ed era in questo modo, con allegria, che si gettavano amo ed esca per il telespettatore. Dopo il ’77, ed ancor di più con l’avvento delle tv “commerciali”, la pubblicità cambiò. Si cominciò a far leva su sentimenti ed emozioni profonde dello spettatore, tanto che la critica sociologica cominciò a parlare, riguardo agli autori degli spot, di “persuasori occulti”.

Dalla critica degli intellettuali ad oggi. Siamo maturi per una “leggerezza” interpretativa?

Pier Paolo Pasolini, già nel 1973, in un articolo per il Corriere della Sera, raccontava la propria indignazione nei confronti di uno slogan di una marca di jeans. Erano i jeans Jesus, e lo spot era: “Non avrai altri jeans all’infuori di me”. Pasolini aveva intuito il gap che era avvenuto da una pubblicità basata semplicemente sulla qualità del prodotto ad una pubblicità che scavava nei sentimenti e, addirittura, in inconsci scenari culturali e spirituali. Persino la tradizione religiosa diventava «prodotto di enorme consumo e forma folcloristica sfruttabile». Tutto ciò scandalizzava il grande intellettuale e poeta friulano. Ma…oggi, dopo più di quarant’anni, possiamo far spazio, pur mantenendo il necessario spirito critico, ad una “innovativa” leggerezza? Non è tempo di una costruttiva “indulgenza” in un campo – il marketing – che costituisce uno dei “percorsi nuovi” di studio-lavoro e di creatività per migliaia di giovani preparati e consapevoli? Probabilmente sì.

Una generazione “competente” e competitiva: un “atteggiamento” innovativo

Oggi i ragazzi considerano le pubblicità come una sana “sfida” lanciata allo spettatore da registi e studiosi di marketing pubblicitario. Fissano le immagini che scorrono sullo schermo per quello che sono oggi: un prodotto cinematografico. Sanno bene che dall’altra parte c’è qualcuno – qualcuno come loro – che sta semplicemente svolgendo al meglio il proprio lavoro, ciò per cui, magari, ha studiato anni all’università. E, assieme alle nuove generazioni, in tanti si abituano, oggi, a guardare ed apprezzare la professionalità che c’è dietro un video od uno spot. Non si tratta di superare Pasolini, impagabile nelle sue riflessioni. Si tratta di non chiamarsi fuori da un mondo nuovo, diverso, in cui la creatività e la capacità artistica abbracciano tutti i campi della comunicazione, e tutto ciò è vissuto, per lo più serenamente, come stimolante, sana sfida con se stessi e con gli altri.

 

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