Il primo luglio 2022 è un giorno da ricordare per migliaia di ragazze che amano il calcio e che hanno “affidato” ad un paio di scarpe coi tacchetti e ad un pallone di cuoio i loro sogni. Ma sarà una giornata storica per chiunque abbia a cuore le problematiche di genere, in tutti gli aspetti dell’esistenza e della vita sociale. Il primo luglio il calcio femminile – ovviamente, come per il maschile, parliamo dei livelli più alti di “competenza” – diventa una professione. È stato un cammino lungo, iniziato con un emendamento inserito due anni fa nella legge di bilancio dello Stato. Tale correttivo, inserito nella discussione della legge, equiparava le sportive ai colleghi uomini, oltre che con interventi sui compensi economici, anche con tutele legate alle prestazioni sportive.
Una vera rivoluzione, dunque, non soltanto a livello di retribuzioni dovute alle calciatrici, ma anche a livello di previdenza e di sicurezza in caso di infortuni o di maternità. In poche parole, per le donne il calcio potrà essere un mestiere. Se ci facciamo caso, forse ci rendiamo conto di aver cominciato a “vedere” le calciatrici – accorgerci della loro “esistenza” – durante le trasmissioni RAI dei Mondiali Femminili svoltisi nel 2019 in Francia. Fummo eliminati ai quarti di finale da una “tostissima” Australia, ma tanta gente cominciò ad appassionarsi a quelle ragazze “azzurre”, che lottavano in campo con la stessa passione dei maschi, si mettevano la mano sul petto durante l’inno nazionale proprio come Donnarumma o Barella, esultavano sfogando gioia e rabbia dopo un gol, con la stessa aggressività dei colleghi uomini. E in tantissimi ci si rese conto di quanto “maschio” fosse il gioco femminile. Fisico, rabbioso, affamato.
…ma loro “ci sono sempre state”
Fu un lodevolissimo servizio quello della RAI, che tra l’altro si ripeterà tra pochissimi giorni per gli Europei, che si svolgeranno dal 6 al 31 luglio 2022 in Inghilterra. La visibilità che offre il piccolo schermo si è rivelata, come sempre, uno strumento potentissimo. Se usato bene, e nell’interesse di tutti e dell’innovazione, il mezzo televisivo se la gioca ad armi pari con il mondo social. La TV è ancora, probabilmente, l’unico media in grado di “portare” una fetta notevole della nazione in direzione di una stessa emozione. Dopo quei Mondiali Femminili del 2019 la “causa” del professionismo delle donne ingranò una marcia non più frenabile. Ciò che ci interessa notare è che a cambiare è stata soltanto la “percezione” che si ha del “movimento calcistico” femminile. Quello dell’anno prossimo sarà il 9˚ Mondiale della storia. Il primo si svolse nel 1991, durante la “piega storica” della caduta dei muri.
Calcio femminile: ricordate quei “miti assoluti”?
Per “confermare” quanto il gesto sportivo femminile non sia mai stato caratterizzato, che so, da una “debolezza” o da una “lentezza” che lo abbiano tenuto “indietro” nell’effetto spettacolarizzante dell’atto agonistico, basta ricordare i “miti” del tennis femminile. Nessuna disciplina come il tennis, anche nella storia della televisione, si è “caricata” da sola sulle spalle ciò che mancava alla parità di genere nello sport. Parlando solo degli anni ’80-’90, gli appassionati di sport agonistico ricordano certamente Steffi Graf, Martina Navrátilová, la bellissima Gabriela Sabatini, Monica Seles, che regalavano agli amanti del “gesto tecnico” sportivo pomeriggi straordinari davanti alla televisione. Le sfide tra campionesse non erano in nulla da meno degli scontri tra i mostri sacri del tennis maschile. C’era la stessa grinta, la stessa rabbia, la stessa “violenza” nei colpi – fatta salva l’energia muscolare che faceva schizzare più veloce la pallina di Ivan Lendl o di Boris Becker -. Che spettacolo.