Il termine “brand love” non è recentissimo. Compare già nel 2006 nei saggi di marketing, ed in uno dei lavori di quegli anni il “brand love” è definito “il grado di appassionato attaccamento emotivo che un consumatore soddisfatto prova verso un brand”. Può sembrare “eccessivo” parlare di attaccamento emotivo, ma in realtà è molto più probabile che tale aspetto della nostra “passionalità” sia sempre esistito. Il rapporto “emotivo” con i simboli è quanto di più antico ci sia nella storia dei vissuti umani. Ora, un “simbolo” non è necessariamente un “riassunto” visibile di un sentimento religioso o politico. Un simbolo poteva essere, nel Quattrocento, il marchio della bottega del Verrocchio, piuttosto che di Piero della Francesca. Ed un committente poteva “fidarsi”, dopo alcune esperienze positive, di un “logo” anziché di un altro, “appassionandosi” alla “soddisfazione” che solo una delle due “industrie artistiche” gli aveva procurato.
E’ da incoraggiare lo sforzo, compiuto dai responsabili del marketing delle grandi – o medie – aziende, di creare un “rapporto” di passione e, quasi, di “fiduciosa amicizia” tra il fruitore abitudinario di un prodotto e il marchio che lo rappresenta? Noi riteniamo che non vi sia niente di “non-umano” – da parte di chi ha studiato una vita per questo – nel far sì che un logo o un “nome” commerciale scatenino in un consumatore emozioni di “gioia” o sentimenti di “familiarità”.
Brand love: marchio e “valore”
Il marchio, dunque, secondo i puntuali ed acuti studi che ci permettono, oggi, di parlare di “brand love”, non sarebbe affatto innanzitutto un segno distintivo che identifica e “protegge” i prodotti di tale o tal altra azienda commerciale, seguito dal copyright che completa l’opera di separazione dal resto del mondo che produce lo stesso tipo di servizio. Il discorso non si limita a questo. Il “marchio”, difatti, genera un valore che entra a far parte della vita del fruitore. Si parla, in questo caso, di dimensione relazionale della marca. Il marchio stesso, riconoscibile attraverso il logo, acquisisce, in qualche modo, una certa personalità.
Quali caratteristiche attribuiamo a un marchio?
Ci capita, se ci facciamo caso, tutti i giorni. Quando scegliamo sempre la stessa marca di acqua minerale, e assieme all’abitudine lo facciamo, magari, perché immaginiamo davvero il momento dell’imbottigliamento alla sorgente, in pratica crediamo a ciò che ci è stato proposto in sede di “spot pubblicitario”. Perché? Magari per simpatia verso una pubblicità godibile, oppure perché se ne è fatto portavoce un campione sportivo (lo sport è collegato sempre alla lealtà, al sacrificio e alla sincerità). Alcuni loghi di scarpe, zaini o abbigliamento per lo sport, inoltre, ricordano dei gesti atletici tipici di qualche “mito” di una grande squadra. Ad un brand, insomma, vengono attribuite delle caratteristiche umane. Ad ogni modo, “usare” quel prodotto ci fa sentire meglio, più sicuri e sereni. Gli studi di marketing hanno elencato le proprietà “umane” che vengono “trasferite” sul brand: sincerità, competenza, immaginazione, forza. Niente di più “normale”, dunque, dell’affezionarsi ad un marchio.