Filippo “padrone” Griffi. Dal set di Troisi alle quinte di Palazzo Chigi Ritratto del giurista napoletano che ha scalato le stanze del potere fino a diventare il braccio destro di Letta.

A volte il destino è una scala da scendere o da salire, come quella rampa di una stradina di Chiaia, quartiere aristocratico di Napoli, resa celebre da Massimo Troisi con l’irresistibile scena in cui si interrogava con Lello Arena se fosse meglio vivere un giorno da leone o cento da orsacchiotto. Lì accanto, 57 anni fa nasceva Filippo Patroni Griffi, uno che i gradoni delle istituzioni li ha saliti fino in fondo, partendo dal basso per arrivare alla poltrona di numero due di Enrico Letta a Palazzo Chigi. In realtà, se fosse un calciatore, Rafa Benitez lo definirebbe un “falso nueve”, uno di quegli attaccanti che gioca tra le linee per creare spazi a chi poi la butterà dentro. Di sicuro Filippo Patroni Griffi, napoletano, 57 anni, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, è uno dei “titolarissimi” del governo Letta nella difficile avventura politica che vede il premier impegnato a tenere insieme i pezzi dei grandi partiti e i cocci dell’economia. Magistrato e giurista, lui c’è quando c’è una grana da risolvere – “Sono Wolf, risolvo problemi”, per dirla alla Tarantino – o quando c’è da scovare l’appiglio normativo, sminuzzare il cavillo al quale aggrapparsi come Tarzan a una liana per superare le paludi della politica romana. Non a caso il vicepremier Angelino Alfano, nelle segrete stanze di Palazzo Chigi, lo ha ribattezzato Filippo “Padrone” Griffi e racconta – divertito ma non troppo – di come il premier utilizzi il suo sottosegretario come sponda automatica quando c’è da trovare la quadra nelle infinite discussioni del governo di larghe, ma spesso impervie intese. 

“Sì, ma che dice Filippo?”. Quel cognome, del resto, evoca creatività, anche se il profilo caratteriale del giurista napoletano ha poco a che vedere con quello dell’istrionico zio Peppino, uno dei più importanti registi teatrali del Novecento. 

La dote di Filippo Patroni Griffi, magistrato a soli 24 anni dopo un diploma all’Umberto e una laurea “lampo” alla Federico II, è la riservatezza. Perché a lui piace spiegare ma non ama le luci della ribalta, che in molte occasioni aveva lasciato ad altri perfino quando, da Ministro della Funzione Pubblica del governo Monti, poteva rivendicare provvedimenti che hanno inciso profondamente sulla vita del Paese: dalla spending review alle norme sulla trasparenza dei redditi e degli appalti, dal fascicolo sanitario elettronico, al ddl su anticorruzione, decadenza e incandidabilità, quello su cui oggi si gioca il futuro politico di Berlusconi. Oggi, da sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Patroni Griffi è chiamato a coordinare il lavoro dei vari ministeri retti da “politici”. Lui, del resto, dopo una brillante carriera da giudice amministrativo, fino a diventare presidente di sezione del Consiglio di Stato, i politici li conosce bene visto che è stato il capo di Gabinetto, dagli anni Novanta, di personalità che hanno composto governi di diversa estrazione, dagli esecutivi tecnici di Ciampi e Dini, ai governi di centrosinistra di D’Alema, Prodi e Amato, fino a quello di Berlusconi. Di famiglia aristocratica, nel sangue del sottosegretario scorrono anche un po’ di globuli borbonici. Nel 1860 Filippo Patroni Griffi, conte di Calvi, era uno dei decurioni della città di Napoli, ma fu rimosso insieme ad altri da Garibaldi, rimanendo fedele a Francesco II delle Due Sicilie, che seguì a Gaeta e poi in esilio. Un precedente che forse, da napoletano scaramantico, avrà raccontato a Letta stringendo tra le mani un rassicurante cornetto anti-jella.

 

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