Eugenio Scalfari
Foto Fabio Cimaglia / LaPresse 03-11-2016

Il 14 luglio ci ha lasciato Eugenio Scalfari, una delle più attive, acute e colte voci del giornalismo italiano dal secondo dopoguerra ai giorni nostri. Aveva 98 anni. Perché parlarne su “Now!”? Perché crediamo che l’intera parabola esistenziale di questo “gigante” della comunicazione ci possa “indicare” cosa significhi, anche e soprattutto oggi, essere “contemporanei della contemporaneità”, cioè contemporanei di noi stessi. 

Si può vivere una vita intera senza sfiorare il tempo in cui noi stessi viviamo, in cu noi per primi siamo immersi. La cultura di per se stessa, ad esempio, può anche non trasformarsi mai in vita attiva, “reale”, e l’erudizione (i saperi che si sommano ai saperi) può restare terra sterile e asciutta, o farsi acqua stagnante e persino maleodorante, se il “colto” rimane in una “bolla” fuori dal tempo, fuori dal “conflitto” delle idee e dallo scorrere problematico della vita della propria comunità. Eugenio Scalfari aveva tutt’altro nel DNA. Scalfari era “now”, in tutto e per tutto. Gli interessava l’hic et nunc. Studiava incessantemente, ma non stava affacciato a sbirciare nel passato per “scorgervi il meglio”, come spesso facciamo un po’ tutti, sempre nostalgici di qualcosa. A lui interessava ciò che doveva ancora arrivare, per l’uomo. Cioè ciò che c’era da dire e fare, adesso. Per questo riteniamo che la sua figura possa darci una mano ad entrare nello spirito del nostro giornale. 

Esserci, partecipare, proporsi: gli inizi di Eugenio Scalfari

Eugenio Scalfari ha vissuto fino alla fine da giornalista puro. La sua esistenza è stata tutta un prendere a piene mani la “materia” della contemporaneità (in quasi un secolo egli ha vissuto all’interno di “tante contemporaneità” diverse), caricarla su di sé, rielaborarla con spirito critico, per poi “proporre” e “agire” per modificarla in senso più umano e democratico. Scalfari non ha mai avuto problemi a narrare della sua gioventù fascista: aveva meno di vent’anni, e ad ogni modo il suo essere fascista significò già “vita di redazione”, giornalismo. Riflessione scritta sul presente. Nel ’42 sarà caporedattore di Roma Fascista, fino all’espulsione dal partito. Nel dopoguerra, da liberale, la sua esistenza fu salda sui pilastri di sempre: esserci, collaborare, dirigere, fondare. Scalfari è stato “contemporaneo” di se stesso fino all’ultimo. Il suo “curriculum” giornalistico è immenso. Collabora al Mondo, poi all’Europeo, è instancabile nell’essere dove si fa il domani. 

“Fondare” e “dirigere”, creare comunità nuove, dare opportunità al presente

Le “fondazioni” a cui Eugenio Scalfari ha partecipato, o delle quali ha posto proprio la “prima pietra”, ci dicono di un intellettuale mai “seduto” a “compiacersi della propria opera”. Nemmeno da anziano, quando un uomo potrebbe essere più stanco di “progettare” e “organizzare”. Nel 1955 Scalfari partecipa all’“atto di nascita” del Partito Radicale, e nello stesso anno, con Arrigo Benedetti, fonda L’Espresso. Parliamo di “realtà democratiche” che permeeranno di sé l’intera storia politica italiana. Nel 1968 Scalfari è in Parlamento, nelle liste del PSI. Vuole partecipare, parlare, ancora una volta… essere nell’“ora”: l’unica dimensione in cui si possano costruire storia e innovazione. Nel 1976 Scalfari fonda la Repubblica: si tratta di un quotidiano, la sfida è ancora più difficile. Ma nel 2022 Repubblica (ora anche online, inserita nel social world) è uno dei quotidiani italiani più noti e letti. Ciao Eugenio, contemporaneo di te stesso. La fatica più difficile. 

Foto Fabio Cimaglia / LaPresse 03-11-2016

 

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