Conversazione con il Professore Cataldi
Dagli attacchi alla libertà agli attentanti di Tunisi contro gli “empi occidentali”, sino ai barconi carichi di carne umana e speranza, che quotidianamente solcano le onde, lasciandosi alle spalle le coste africane, e giungendo, in conclusione, all’incredibile esperimento greco di sovranità popolare: un mare lega tensioni ed unisce genti, è il Mar Mediterraneo. Conversiamo con il Professore Giuseppe Cataldi, Ordinario di Diritto internazionale presso l’Università degli studi di Napoli “L’Orientale” e titolare della Cattedra Jean Monnet ad personam “La tutela dei Diritti umani nell’Unione europea”, nonché Direttore del Centro omonimo.
Professore, concentriamoci su questo Nostro Mediterraneo. Sono state prese misure specifiche in giugno da parte del Consiglio europeo: come agirà la missione UE contro gli scafisti?
Le misure, in effetti, sono state prese in relazione all’urgenza di una circostanza specifica che è un altro di quei disastri umanitari, costato la morte di circa settecento persone, che tentavano di attraversare il Mediterraneo su di un’imbarcazione di fortuna. Ancora una volta, l’Unione europea non si è espressa chiaramente per la gestione del fenomeno migratorio, come previsto dal Trattato di Lisbona, basato su politiche migratorie condivise e sul grande principio della solidarietà. Si è deciso per un maggiore investimento delle operazioni di soccorso in mare, tentando di arginare il fenomeno del traffico di migranti su base transnazionale. La questione è molto più complessa. C’è la necessità di decidere per azioni congiunte per intervenire in quelle aree dalle quali si parte. La gestione delle operazioni comincia a terra e non in mare. L’Italia ha gestito bene il fenomeno del soccorso umanitario con Mare Nostrum, un’operazione che da sola certamente non avrebbe risolto il problema. È stata un’operazione costosa, la cui gestione sarebbe spettata all’Unione europea, che si è rifiutata, avendo ipotizzando che un’operazione così vasta potesse incoraggiare i migranti.
Ad un tavolo comune europeo si sta cercando di risolvere il problema sull’immigrazione. Siamo sulla buona strada?
Non siamo affatto sulla buona strada. Le decisioni, che si sono avute sinora, non sono state mirate al lancio di una politica migratoria comune. Si è operato per arginare l’emergenza. Il pacchetto di misure che la Commissione ha messo in cantiere – com’è noto, la Commissione europea ha il potere di proposta – è ragionevole. Bisognerà poi vedere se tali proposte saranno adottate. Ovvero, se il Parlamento europeo ed il Consiglio dell’Unione faranno proprie le proposte che la Commissione sta portando avanti. Si sta provvedendo ad uniformare i criteri di accesso all’Europa, ma non vorrei che tutto ciò si risolva in un nulla di fatto.
Come gestire la questione dei rifugiati?
In relazione ai rifugiati, abbiamo problemi con gli strumenti normativi. Abbiamo la Convenzione del 1951 sui Diritti del rifugiato, un’ottima convenzione ma che resta comunque una Convenzione del 1951, e la convenzione di Dublino, basata sul criterio del Paese d’ingresso. Sarà il Paese d’ingresso, al quale il migrante chiederà asilo, a vagliare la domanda. Ogni Paese ha i propri standard nel vagliare la domanda del rifugiato. Inoltre, a causa di una crisi della sponda sud del Mediterraneo, il cerino resta sempre nelle mani di una manciata di Paesi, Italia, Malta, Grecia. Il sistema, in definitiva andrebbe rivisto, poiché non è possibile continuare ad addossare la responsabilità sui singoli Stati. Occorrono standard unici per l’accettazione o la negazione dello status di rifugiato.
Tra le cause dei flussi migratori, non è una novità, figura il terrorismo. Il Ministro Gentiloni ha parlato della necessità di una strategia a più livelli, che sincronizzi l’azione militare con gli strumenti di prevenzione in grado di incidere sulle nuove forme di reclutamento. Condivide tale pensiero?
È chiaro, bisogna agire, tentando di contrastare il terrorismo internazionale.
Parliamo ora di democrazia, spostandoci in Grecia. All’indomani del referendum, quali saranno, a suo parere, le conseguenze sul medio-lungo termine in ambito politico ed economico?
Non sono un economista, né un politologo. Sono un giurista. Tuttavia, per quello che vale, potrei dare una mia opinione: questo referendum è stato essenzialmente funzionale alla politica interna greca. È servito a consolidare la posizione dell’attuale governo greco con l’opinione pubblica internazionale. Tuttavia sussiste da parte del Governo greco la volontà di negoziare. Allo stesso modo, i precedenti governi greci hanno avuto una grande responsabilità, le cui conseguenze sono oggi tangibili. Spero che si trovi un accordo per salvare l’Euro e la presenza della Grecia nell’Euro, a beneficio di tutti.
Danilo Capone