Quando gli italiani all’estero rendono grande il nostro Paese

«Lavorerò per la scienza e al servizio della pace» ha dichiarato Fabiola Gianotti il giorno in cui è stata nominata Direttore Generale del Cern di Ginevra. Nata a Roma nel 1962, si è laureata in Fisica all’Università di Milano e lavora al CERN dal 1987, ma soprattutto è una dei tanti italiani capaci di distinguersi all’estero fino a raggiungere, grazie alla loro professionalità e tenacia, ruoli apicali in altri Paesi.

L’Italia, infatti, è tornata ad essere un paese di emigranti e addirittura, secondo gli ultimi dati Istat, nel 2013 si è registrato il più alto numero di italiani che hanno lasciato il Belpaese negli ultimi dieci 10 anni: sono circa 82mila, quasi il 21% in più rispetto al 2012. Oltre il 30% degli emigrati italiani con più di 24 anni sono laureati e quindi, se da un lato è vero che costoro sono costretti a fuggire dall’Italia perché qui non trovano un lavoro adeguato alla loro preparazione, è anche vero che l’emigrazione italiana è profondamente cambiata. Non si tratta, infatti, più solo di disperati in cerca di sopravvivenza, come poteva essere negli anni cinquanta, ma spesso di persone qualificate che si trasferiscono sì per realizzare quei sogni che probabilmente in Italia gli sarebbero preclusi, ma che così facendo rendono grande l’Italia nel mondo.

Probabilmente anche Fabiola Gianotti avrà lasciato l’Italia perché qui non aveva la possibilità di svolgere degnamente il suo lavoro di ricercatrice e scienziata (conosciamo già tutti la situazione dei ricercatori italiani!) e quindi l’Italia ha così perso un “cervello in fuga”, ma oggi di sicuro può essere motivo di vanto e orgoglio nazionale che un’italiana sia diventata un punto di riferimento per i ricercatori di tutto il mondo.

Moltissimi sono gli italiani che hanno avuto la capacità, la grinta e la determinazione per gettarsi nell’arena globale, dove hanno faticosamente scalato tutti i gradi delle gerarchie aziendali fino ad arrivare al vertice dei più grandi gruppi mondiali.

«Mi ero appena laureata in Scienze politiche alla Sapienza e mi stavo preparando al concorso in diplomazia, – racconta Daniela Riccardi, nata a Roma 54 anni fa – ma nel frattempo, avevo vinto una borsa di studio a Yale per uno stage di marketing e ci sono andata nell’attesa del concorso». Lì ho scoperto il mondo delle aziende multinazionali e oggi è la CEO di Baccarat, una delle gemme dell’industria francese.

Non ha neanche fatto in tempo a laurearsi in economia alla Luiss Riccardo Zacconi che è stato chiamato in Germania per un’offerta di lavoro in una società di consulenza. Oggi è CEO della londinese King, protagonista l’anno scorso di un clamoroso sbarco a Wall Street sull’onda del successo planetario del videogioco online Candy Crush.

Laureatosi in ingegneria chimica al Politecnico di Torino, Ferdinando Beccalli-Falco attualmente è il numero due del gigante General Electric, dove entrò già nel 1975; mentre Vittorio Colao si è laureato alla Bocconi di Milano ma poi è subito emigrato per un master ad Harvard e oggi è il CEO di Vodafone con headquarters a Londra.

Molti CEO italiani all’estero provengono dal Centro-Sud: dalla provincia di Chieti è partito Guerrino De Luca, oggi CEO in Logitech, e dalla provincia di Frosinone è iniziata l’avventura di Gabriele Cerrone, che ha creato in America la sua fortuna industriale nel difficile terreno delle biotecnologie e oggi è CEO di Gensignia, che sta sperimentando fra la California e l’Italia nuovi test diagnostici per il tumore al polmone. Alla Federico II di Napoli si è, invece, laureato Fabrizio Freda, da quattro anni CEO del gigante della cosmetica Estée Lauder di New York e soprattutto l’unico italiano nella top ten dei 10 CEO meglio retribuiti del pianeta.

Anche nel campo artistico gli italiani sanno distinguersi diventando, spesso dall’estero, autori di un cinema apolide che difficilmente riesce a essere catalogato. Uberto Pasolini, ad esempio, si è aggiudicato il premio per la migliore regia nella sezione Orizzonti del festival di Venezia con il film Still Life, prodotto nel Regno Unito. Ed era successo nel 2012 con High Tide del 43enne marchigiano, ma da anni statunitense, Roberto Minervini che poi è approdato addirittura al festival di Cannes con Stop the Pounding Heart. Era accaduto nuovamente nel 2013 con Medeas, esordio del trentenne Andrea Pallaoro che dal Trentino, a 16 anni, ha avuto la fortuna di trascorrere un anno di studio negli States e ora vive a Los Angeles.

Insomma gli italiani saranno pure “cervelli in fuga”, ma almeno con stile!

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