“Hack” sta per tagliare con l’ascia.

I tempi stanno cambiando, anzi sono trapassati prima ancora che da remote distanze fossimo stupiti dai fiochi bagliori di nuove intelligenze. Siamo al cospetto dei venditori del nuovo secolo, che brandendo un’ascia avanzano avidi nel mondo del marketing: nulla di cruento. È il “growth hacking” il cui obiettivo è ottenere una crescita virale tagliando con l’ascia, letteralmente dalla traduzione americana, poiché l’obiettivo è crescere, fortissimamente crescere. Punto di partenza, una buona idea. Era il 2010, quando il californiano Sean Ellis coniò il termine “growth hacking”, concetto al cui interno convivono creatività, metriche sociali e meccanismi di marketing non convenzionale. Ellis, “annoiato dall’idea di un lavoro normale” – così sul suo profilo LinkedIn – iniziò subito a cercare fortuna per il mondo. A Budapest, assunto presso il giornale economico locale come addetto alla vendita di spazi pubblicitari per i clienti o le aziende appartenenti al settore del tech, il ragazzo prodigio stupì tutti con il record delle vendite. Da lì il volo: con i lauti guadagni, e sulla scorta dell’esperienza ungherese, Ellis decide di partire nel ’96 con una propria start up, la Uproar. Obiettivo principale di un growth hacker sarà la crescita, il numero di visualizzazzioni, il moltiplicarsi delle condivisioni che tramutino l’esperimento in fenomeno, che vive e si evolve attraverso continui tentativi.

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