E’ forte la preoccupazione per il ritorno in ufficio dopo la pandemia. Secondo la nuova ricerca di QBE Insurance Group sulla relazione tra il benessere psicologico dei lavoratori italiani e le nuove abitudini lavorative causate dal Covid, alti livelli di ansia che minano la produttività, diffusa inquietudine per la sicurezza del proprio posto di lavoro incidono sul benessere psicologico dei dipendenti italiani.

Ritorno in ufficio: metà degli italiani non vuole

Il 74% degli intervistati italiani in smart working non si sente pronta a tornare in ufficio, preoccupato per i potenziali rischi legati al ritorno in ufficio e all’utilizzo dei mezzi pubblici. Solo il 28% sarebbe pronto a ricominciare.
Oltre un terzo (35%) afferma che lo scenario di lavoro ideale per il prossimo anno sarebbe una combinazione tra smart working e lavoro in presenza. Un intervistato su tre (33%) preferirebbe lavorare in ufficio mentre uno su quattro (26%) vorrebbe lavorare da casa.

Isolamento, il problema maggiore

Durante la pandemia da Covid, il 55% dei lavoratori in smart working ha dichiarato di sentirsi isolato e di aver comunicato solo tramite videochiamate ed e-mail. Tuttavia, lavorare da casa giova a conciliare esigenze familiari e lavoro: due terzi degli intervistati (65%) ha dichiarato che questa nuova condizione aiuta a raggiungere un migliore equilibrio tra vita personale e professionale.

La ricerca ha fatto emergere lo stato di benessere psicologico dei dipendenti alle prese con l’emergenza Covid: poco più di un terzo (35%) dichiara di attraversare un momento di difficoltà. Sono soprattutto i giovani a dichiarare di avere problemi di questa natura (41% nella fascia dei 18-34 anni) rispetto ai più anziani (36% per la fascia 35-54 anni, 30% per gli over 55). Questo malessere accentua le difficoltà sul lavoro: un lavoratore su sei ha affermato di aver commesso errori a causa della difficile condizione psicologica in cui si trova.

La metà degli intervistati (49%), per questo, vorrebbe un aumento delle ferie annuali o dei permessi. Tra i servizi desiderati da parte del proprio datore di lavoro, il 24% si dice favorevole a corsi motivazionali; il 17% al supporto di psicologi; il 16% a corsi di yoga e il 14% a workshop sul controllo dell’ansia.

Quanto ai rapporti con il datore di lavoro, poco più di un terzo degli intervistati (35%) ha dichiarato che rivelerebbe con fiducia i propri problemi di natura psicologica, contro il 27% che si dice contrario. I più reticenti sono i giovani (29% nella fascia dei 18-34 anni contro il 18% in quella dei 35-54 anni e l’11% degli over 55). Il motivo principale della reticenza è legato alla sicurezza del posto di lavoro: il 30% teme che parlare di problemi di natura psicologica metterebbe a rischio la propria carriera.

Benessere psicologico tenuto in buona considerazione dai datori di lavoro

Molti intervistati hanno tuttavia dichiarato che il benessere psicologico è stato tenuto in buona considerazione da parte dei datori di lavoro. Due su cinque (40%) hanno dichiarato di avere ricevuto un’effettiva attenzione e un buon supporto, tre su dieci (31%) non si sono detti d’accordo. Per la metà degli intervistati (49%) la preoccupazione è stata genuina, per il 23% no. In termini di esperienza effettiva, c’è invece una netta divisione: il 34% ha affermato di aver avuto un valido aiuto e la stessa percentuale si è detta in disaccordo.

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